Nel 1845 Bejamin Distraeli accusò il primo ministro inglese Robert Peel – conservatore come lui – di «aver preso di sorpresa i liberali mentre si facevano il bagno e di essersi allontanato con i loro vestiti». Non voleva essere un complimento.

Eppure, la capacità di comprendere lo spirito dei tempi e sconfiggere i propri avversari sul loro stesso terreno è proprio ciò spiega il grande successo dei conservatori inglesi. 

Nel 2019 Boris Johnson ha conquistato il “muro rosso” dei collegi tradizionalmente laburisti dell’Inghilterra del Nord – promettendo di portare a compimento la Brexit insieme ad una politica economica sostanzialmente moderata e centrista, accompagnata da massicci investimenti pubblici nelle aree economicamente più depresse.

Fra gli elettori della tradizionale working class il vantaggio del Partito conservatore sul Partito laburista guidato dal “socialista” Jeremy Corbyn è stato di 19 punti percentuali.

A indossare i vestiti dei propri avversari la nuova leader conservatrice, e nuova prima ministra, Liz Truss non ci pensa nemmeno.

Modello Thatcher

Il suo modello dichiarato è Margaret Thatcher, una Tory assai poco incline al compromesso. L’ammirazione di Truss è tale che imita esplicitamente la sua eroina perfino nel look.

Nel 2021 il governo Johnson ha approvato una importante misura per finanziare i crescenti costi del servizio sanitario nazionale e del sistema di assistenza agli anziani non autosufficienti.

Essa prevede l’incremento di 1.25 punti percentuali dei contributi sociali pagati da lavoratori e datori di lavoro a partire dall’aprile 2022.

Dal 2023 il prelievo dovrebbe diventare una tassa autonoma, il Health and Social Care Levy, che secondo le stime originali avrebbe dovuto fruttare un gettito di circa 12 miliardi di sterline. L’iniziativa non è stata accolta bene dalla base conservatrice.

Il governo Johnson ha anche approvato un aumento del prelievo sui profitti delle aziende, che nel 2023 dovrebbe essere portato dall’attuale 19 per cento al 25 per cento. A legislazione vigente, il livello di tassazione sul prodotto interno nel Regno Unito è previsto raggiunga il 36 per cento entro il 2026, il livello più alto dalla fine degli anni Quaranta.

A seguito delle critiche ricevute, Johnson e il suo cancelliere dello scacchiere Rishi Sunak (sfidante di Truss nelle primarie per la leadership del Partito conservatore) hanno corretto il tiro.

A partire dallo scorso luglio la soglia di esenzione per il pagamento dei contributi sociali è stata innalzata allo stesso livello della “no tax area” dell’imposta sul reddito, ovvero 12.570 sterline.

L’intento è quello di aumentare la progressività del nuovo prelievo e mitigare gli effetti del caro vita sui redditi più bassi. In questo modo 30 milioni di contribuenti beneficeranno di uno sconto di circa 300 sterline l’anno. Ma ciò significa anche che le nuove risorse destinate alla sanità pubblica e all’assistenza sociale risulteranno dimezzate.  

Le strane idee di Truss

Liz Truss ha promesso una completa marcia indietro sia sull’incremento dei contributi sociali, che sull’innalzamento dell’aliquota della tassazione sui profitti aziendali. Truss ha inoltre dichiarato che intende tagliare drasticamente le imposte sui carburanti e sospendere la Green Energy Levy che finanzia progetti di efficientamento energetico.

Le stime dei costi di tutti i tagli di tasse promessi oscillano fra i 40 e 60 miliardi di sterline l’anno. Senza contare misure che sono state fin qui ventilate da membri dell’entourage del nuovo leader, ma sulle quali non c’è ancora stato un pronunciamento ufficiale, come il taglio della VAT (equivalente della nostra IVA) per diversi punti percentuali.

Truss sostiene che il mancato gettito provocato dai tagli sarà almeno in parte coperto dalle nuove entrate prodotte dalla crescita economica che la politica di bassa tassazione promuoverà. La tesi è discutibile. Ma questa strategia di politica economica presenta una criticità perfino maggiore del problema “coperture”.

L’inflazione nel Regno Unito è al 10.1 per cento su base annua (dati di agosto). Massici e generalizzati tagli alle tasse come quelli che Truss vuole mettere in cantiere rischiano di alimentare la pressione inflazionistica e non far nulla per proteggere i settori sociali più vulnerabili all’incremento del costo della vita.

Tutto ciò non sembra preoccupare la nuova leader conservatrice, che per quanto concerne la lotta all’inflazione ha ripescato dal suo guardaroba vintage di politiche economiche un capo classicamente “monetarista”.  Per Truss il mandato della Banca d’Inghilterra dovrebbe essere rivisto affinché indichi con chiarezza un controllo rigido dell’“offerta di moneta” (money supply).

Ma nessuna moderna banca centrale ormai crede più alla teoria sottostante questo obiettivo. L’idea che un tempo prevaleva era quella di una correlazione diretta fra riserve create dalla banca centrale (base monetaria) e prestiti elargiti dal sistema bancario con corrispondente generazione di depositi (offerta di moneta). Era la teoria del cosiddetto moltiplicatore monetario.

In una recente pubblicazione sull’insegnamento dell’economia nelle università, la Federal Reserve americana ha sentenziato: “R.I.P. money multiplier” . Ovvero: la teoria non è utile a capire come funziona davvero il rapporto fra banca centrale e sistema bancario e come il denaro viene creato da quest’ultimo. Tantomeno, dovrebbe essere usata per riscrivere il mandato di una banca centrale e fissare i suoi obiettivi di politica economica.

Nei prossimi mesi il Regno Unito dovrà affrontare sfide difficilissime, che vanno dall’incremento dell’80 per cento delle bollette energetiche decisa per ottobre dall’autorità regolatrice del settore, alla sorte del trattato internazionale firmato da Johnson sui rapporti commerciali fra Irlanda del Nord (rimasta nel mercato unico europeo) e Gran Bretagna (Galles, Inghilterra e Scozia). Presentarsi a questi appuntanti cruciali con un abito  fuori moda, e fuori tempo, rischia di costare ben più che qualche momento di imbarazzo.

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