Quando non si trova motivazione nella propria vita lavorativa, si dice di guardare indietro nel tempo di cinque anni per ricordare che il momento in cui ci troviamo adesso è proprio quello a cui aspiravamo allora. Un lavoro a tempo indeterminato vicino a casa, uno stipendio che arriva puntuale e gli stessi ragazzi con cui lavorare tutto l’anno sono l’utopia che caratterizzava la mia esistenza di insegnante cinque anni fa, quando venivo convocata per supplenze saltuarie su e giù per la provincia. Una volta inserita nelle famigerate graduatorie (ora Gps) e ottenuta la pseudo stabilità della supplenza annuale con immancabile disoccupazione dei mesi estivi, mi trovavo al limite tra la tranquillità tanto agognata e un’infinità di dubbi sul mio futuro da tenere impegnato per anni un veggente.

Docenti di ruolo ancora incerti

Potrei insomma ripercorrere quel meraviglioso romanzo che è Storia della mia ansia di Daria Bignardi a suon di decreti ministeriali sulla scuola dei vari governi che si sono susseguiti dal 2018 (epoca della mia prima supplenza) a oggi: sembrerebbe però fuori luogo e indelicato dato che nell’agosto 2022 ho vinto il tanto famigerato, bramato, sognato e desiderato ruolo, quindi ho il privilegio del tempo indeterminato. Conclusi i brindisi con amici e parenti, l’amara verità: nella provincia del nord in cui risiedo, quella diventata famosa negli anni Novanta per avere le scuole più belle del mondo, in quella regione che ha così tante città nelle top 10 di altrettante classifiche su dove si vive, si guadagna e ci si cura meglio… per me non c’è posto. Posizionarsi tra i primi nella graduatoria regionale non è bastato: i numeri per le immissioni in ruolo sono bassi e coloro che aspirano a lavorare in questa provincia sono moltissimi. La scelta più ovvia è quella della provincia limitrofa: «Trenta km di distanza non sono così male», «Poteva andare peggio, hai sempre lavorato di fianco a casa…», «Cosa vuoi che siano tre anni, fai un figlio e ottieni subito il trasferimento»: vengo travolta da una valanga di consigli non richiesti e previsioni di ex colleghi, sindacalisti ed esperti vari. Non c’è spazio per la malinconia di aver abbandonato una classe all’ultimo anno di scuola primaria, del dover spiegare a 22 visini che il mio premio per aver vinto è abbandonarli per andare da bambini che non conosco.

Ricomincia il vortice delle paure e dell’insicurezza: i tre anni di vincolo saranno davvero tre o i sindacati strapperanno anche stavolta qualcosa? Se non ottengo il trasferimento potrò chiedere l’avvicinamento? La rassegnazione lascia posto alla rabbia: diversi sono i posti rimasti liberi nella mia provincia perché ogni anno circa 10mila docenti – per la maggior parte donne – rifiutano la chiamata per un posto a tempo indeterminato, sapendo che sarà impossibile conciliare le esigenze familiari e pagare un affitto se già si ha un mutuo per minimo un anno. “Accontentati e godi” diventa il mio mantra: ho avuto quello che desideravo e a cui molti altri hanno dovuto dire di no.

Vietato lamentarsi

Dopo un anno scolastico vissuto praticamente in auto e una domanda di trasferimento per cui non sono risultata idonea, venerdì 7 agosto alle ore 16.30 sono riuscita a partire per la montagna col cuore in pace: ho saputo di aver ottenuto l’avvicinamento e di essere stata assegnata per questo anno scolastico a una scuola a soli dieci minuti da casa, quella in cui lavoro ora. Mi sono affezionata per il terzo anno consecutivo, a nuovi alunni e colleghi. Per rimanere qui, questa primavera dovrò compilare di nuovo la famigerata domanda di trasferimento con scarsissime possibilità che venga accettata, in quanto richiesta proveniente da fuori provincia e poiché non ho prole che “mi dia” punteggio. In caso contrario attendere l’estate, ripresentare la domanda di avvicinamento annuale nella speranza del posto lasciato libero da qualcuno che in quest’infinito girotondo chieda a sua volta di avvicinarsi a casa: sempre che per l’ufficio scolastico regionale sia contemplato farcelo sapere entro Ferragosto. Non era decisamente questa la vita da docente in ruolo che immaginavo, con più cambiamenti e incertezze di quando ero precaria. Stavolta il problema è proprio questo: vietato lamentarsi, perché alla fine sono esattamente dove volevo. Come me, chissà quanti altri.

Forse è ora che ci si renda conto che l’annuncio ogni agosto di decine di migliaia di assunzioni in ruolo significa in realtà lacrime, sudore e sangue e anni di incertezze per chi può accettarle, non stabilità e rispetto del diritto al lavoro come qualsiasi governo ha tentato e tenta di farci credere.

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