Per decenni, in Italia, i libri di ricette sono stati principalmente tre: l’Artusi (o meglio, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene), il Cucchiaio d’Argento, il Talismano della Felicità. Tomi dalle pagine gialline, illustrati in maniera poco convincente o con, al massimo, uno o due inserti a colori.

Raccolte di ricette pensate per andare in soccorso delle neo-spose e aspiranti angeli del focolare, desiderose di andare oltre le preparazioni tradizionali materne e stupire i mariti con piatti “esotici”, magari di altre regioni. Poi qualcosa è cambiato. Alle pagine – sempre più chiare, con struttura e testi più comprensibili ed esteticamente gradevoli – si sono affiancate foto accattivanti, che hanno reso i libri che parlano di cibo e vino anche solo piacevoli da sfogliare. Oggi i titoli legati all’enogastronomia spaziano da approfondimenti verticali sulla pasta madre alla vita segreta dei cuochi. Secondo gli studi di settore questo specifico segmento editoriale non sembra risentire della generale flessione delle vendite registrata nel 2023 e nel primo trimestre del 2024.

Ma per gli addetti ai lavori, dopo la “sbronza” vissuta tra il 2008 e il 2019 a colpi di ricettari firmati dai vincitori di MasterChef, è necessaria una migliore scelta dei titoli e maggiori investimenti per produrre long seller che aspirino all’eternità.

Le vendite

Il Rapporto sullo Stato dell’Editoria in Italia 2023 redatto dall’Associazione Italiana Editori (Aie) inserisce i libri dedicati all’enogastronomia nel settore della manualistica. In questo segmento da quasi 7mila titoli pubblicati solo nel 2022, i volumi dedicati a cibo e vino rappresentano il 21,3 per cento delle pubblicazioni, per un valore complessivo pari a 33,4 milioni di euro (2022, Aie).

Il dato appare in calo rispetto al 2021, specialmente dopo l’euforia vissuta tra il 2008 e il 2019, in cui ogni star, vincitore di talent, attore sembrava avere un ricettario nel cassetto da condividere con il proprio pubblico. Gli anni della pandemia fino al 2021 hanno visto riaccendersi il fervore degli italiani per la lettura, con una particolare predilezione per i manuali di self-improvement specie se dedicati a lievitazione e fermentazione, o all’assaggio del vino. Nel 2022 gli italiani hanno speso quattro milioni di euro in più rispetto al 2019, con un incremento di quasi 80mila copie rispetto allo stesso anno, confermando che i libri sul cibo piacciono ancora.

Al Salone

Il Salone del Libro di Torino 2024, in partenza il 9 maggio, avrà 47 editori impegnati nella presentazione di libri anche a tema enogastronomico. Questa presenza, in crescita negli ultimi anni, ha spinto gli organizzatori rinnovare la partnership con Slow Food Editore, a capo del programma speciale “Gastronomica, parlare e leggere di cibo” dal 2017.

Ci saranno quindici incontri dedicati all’editoria gastronomica e ai suoi temi più caldi: dalle politiche del cibo per il futuro alle pubblicazioni dei più noti influencer del settore, senza dimenticare la narrativa, con un incontro con Maurizio De Giovanni presentato da Oscar Farinetti. Proprio quest’ultimo evento pone l’accento su un gap di dati non considerato nel Rapporto Aie.

Il cibo e il vino abitano spesso anche le pagine dei romanzi. Basti pensare al caso “apaghetti all’assassina” scatenato dalla serie di romanzi sull’ispettore Lolita Lobosco di Gabriella Genisi. Dopo un’analisi decennale e un trend più o meno stabile su vendite e pubblicazione, forse è giunto il momento di aggiornare le classificazioni dell’editoria enogastronomica.

Riflettere e investire

Le collane di libri dedicati al cibo nascono negli ultimi 30 anni anche perché la cosmogonia gastronomica italiana è per lo più regionale. Ciò ha fatto sì che il tema non fosse considerato degno di prodotti di cultura alta come il libro, al contrario di ciò che è avvenuto in Francia, culla dell’editoria culinaria. Per questo Marco Bolasco, scrittore, giornalista, Direttore Illustrati di Giunti Editore ed editore di Topic, definisce il mercato dei libri dedicati al cibo «giovane, ancora un po’ immaturo perché, salvo qualche eccezione, i grandi editori non hanno investito realmente su contenuti e autori, com’è avvenuto per altri settori. Hanno cavalcato il fenomeno, più che altro mediatico, esaurendone la spinta in un decennio. A guidare il fenomeno, nomi come Benedetta Parodi, che di fatto ha venduto come Umberto Eco».

Nel 2019 si è registrato un leggero calo nelle vendite, risalite negli anni della pandemia. Ma la regola aurea dell’editoria si è dimostrata valida anche per i libri dedicati al cibo: «Quando si produce un buon contenuto in un settore ampio e strategico per l’Italia come la cultura materiale, i risultati si vedono. Per questo dovremmo fare meno libri ma migliori, un principio sempre valido».

Lo dimostrano gli ultimi quattro anni, in cui i lettori sono tornati in libreria, alla ricerca di titoli per il self-improvement dedicati anche alle tecniche di cucina.

Nella sua carriera in Giunti, Bolasco ha reso “editorialmente appetibili” moltissimi fenomeni social come Cucinare Stanca, il profilo Instagram di Sofia Fabiani. Ma il meccanismo di selezione è lo stesso anche quando si lavora con chef del calibro di Hirohiko Shoda, autore di Washoku, uno dei titoli più importanti sulla cucina giapponese.

«Si cerca sempre qualcosa che ti stimoli, che vada oltre il fenomeno di massa, che apra una pista non battuta. In più, cerchiamo libri che possano durare nel tempo». Il mondo dei creator mira a monetizzare ogni prodotto nel più breve tempo possibile, ma l’editoria ha altri ritmi, che permettono di pensare a progetti come quello in cui Bolasco ha coinvolto Niko Romito. In 10 lezioni di cucina, scritto a quattro mani con Laura Lazzaroni, lo chef non propone ricette o tecniche, ma affronta temi più ampi, sempre legati al cibo, come la sostenibilità.

Nel cantiere editoriale

Tra gli altri Bolasco ha curato Il codice della cucina vegetariana di Pietro Lehman, trasformando il lavoro di una vita in un libro imponente da 90 euro («I commerciali erano spaventati a morte!», ricorda). Oggi il volume è un punto di riferimento per chi fa cucina vegetariana e non solo. La formula del pane di Laura Lazzaroni non è un libro di ricette, ma insegna al lettore come costruire il proprio metodo di panificazione, ribaltando l’ottica del manuale tradizionale.

Proprio pensando a Lazzaroni, Bolasco osserva che nonostante la sovrabbondanza di uomini in cucina, si lavora soprattutto su libri di autrici, più ricche di temi e spunti, realizzati per lo più da squadre al femminile. Basti pensare a nomi come quello di Antonia Klugman, Sora Lella o del progetto in cantiere (spoiler!) con Sarah Cicolini.

Tuttavia, non sempre cuochi e creator sono in grado di fornire testi compiuti. In alcuni casi, gli editori devono ricorrere al ghost writing con penne prestate alla voce di altri. «Fare libri gastronomici significa rimboccarsi le maniche, investire. Quando ti fermi a ragionare su un progetto, che parte da basi solide, a volte è lo stesso protagonista del progetto a non volere un ghost writer sin dall’inizio, preferendo qualcuno che lo prenda per mano e lo aiuti a plasmare il contenuto. Pubblicare un romanzo, se è di qualità, significa impaginarlo, editarlo, stamparlo e venderlo. Ma con un progetto che ruota attorno a un cuoco o un agricoltore, bisogna mettere in piedi una squadra che dia forma al libro con un testo valido. L’obiettivo è dare forza a queste voci».

Nonostante i numeri incoraggianti, la parte più difficile anche per l’editoria enogastronomica resta la vendita. La sfida è far incontrare domanda e offerta, per non disperdere le pubblicazioni nel mare magnum dei titoli che approdano sugli scaffali. Anche per focalizzarsi sui volumi da portare sul mercato e avviare una riflessione editoriale sui libri legati al cibo, Bolasco ha fondato Topic, trasformandosi in un piccolo editore che vuole far incontrare libri e lettori attraverso progetti di qualità. «Le persone vogliono crescere da sole e il libro è uno strumento straordinario per farlo. Voglio prendermi del tempo per riflettere sul settore a cui ho sempre dato tanto».

Cambiare le cose

Guido Tommasi ha sempre avuto a che fare con la carta stampata. Classe 1966, ha iniziato con il giornalino della scuola e ha continuato anche quando, in Svizzera, faceva il fotografo, curando la stampa di libri, affiche e cataloghi. Una domenica mattina, mentre girovagava in una libreria ricavata da un vecchio cinema, si imbatté in un libro, Zu Tisch mit Goethe, in cui il famoso scrittore mescolava vita, letteratura e amore per la cucina. Con quel volume tra le mani, Tommasi intuì di avere davanti una nicchia di mercato da esplorare, in cui poter diventare “il primo della classe”. Era il 1999.

Quel titolo in tedesco rappresentava una nuova via, un modo insolito per parlare di cibo, ma anche per “leggere” la vita stessa. Adottando uno stile minimalista, grafico e d’impatto, mescolando ricette e letteratura, Tommasi ha trovato la via per riscrivere le regole estetiche dei libri enogastronomici. Ne sono un esempio alcune famose copertine del marchio. In Cioccolato!, la cover mostra una torta con tanti cucchiaini conficcati. Ma l’estetica non è una scusa per tralasciare il contenuto, solo un mezzo per renderlo più gradevole e accessibile ai lettori.

«Quando si concepisce un libro, cerco di interpretare le istanze degli autori, puntando a essere originali. È la sfida più importante da vincere». Un altro esempio di questa filosofia è il volume Di che pasta sono fatta di Chiara Pallotti, che coniuga un taglio originale per testi e immagini, volto ad esaltare la figura dell’autore, che sta tornando a essere protagonista

Fil rouge

Usare il cibo per parlare d’altro è uno dei fili rossi che attraversa la produzione editoriale di Guido Tommasi Editore. «In tempi non sospetti abbiamo fatto un libro di cucina palestinese (Zaitoun di Yasmin KhanI)». Ma parlare d’altro significa anche parlare di persone: «del resto, se possono, tutti mangiano tutti i giorni: il tema non si esaurisce mai». L’esempio più calzante è stato il libro Si cucine cumme vogl’i. La cucina povera di Eduardo De Filippo raccontata dalla moglie Isabella.

«Durante una cena mi era capitato tra le mani un menu con delle quartine a tema gastronomico firmate da De Filippo. Ricordo di aver subito pensato di farne un libro, così ho cercato i contatti per dialogare con la famiglia dell’attore. Dopo aver scritto una lettera, quasi certo che la mia richiesta fosse caduta nel vuoto, mi ha risposto la moglie Isabella Quarantotti De Filippo dicendo “è una bella idea, ci stavo pensando anche io”. Ne è nata una stimolante collaborazione e un’amicizia, che ha incluso anche Raimonda Gaetani, l’illustratrice delle commedie di Eduardo».

Era il 2001. Oggi Guido Tommasi Editore è il più noto dei quattro marchi editoriali che fanno capo a Guido Tommasi. Ci sono Dumont, dedicato ai viaggi, il segmento per l’infanzia Lupoguido e Luxury Books. La galassia comprende circa 500 titoli dedicati al cibo, prodotti da un team di 11 persone per un fatturato complessivo di quattro milioni di euro, di cui solo 2,6 milioni di euro prodotti dal segmento gastronomico. Di avventure editoriali nell’enogastronomia ne ha costruite diverse e importanti.

Ad esempio, Tommasi ha ripubblicato La cucina del mercato di Paul Bocuse, antesignano della filosofia del km zero, che ha rivoluzionato la cucina francese, da sempre basata sull’arte del soucier. Oggi la redazione è al lavoro per ripubblicare lo stesso libro, ma in versione illustrata, divisa in tre volumi. Un avventura che, a seconda dei casi, può arrivare a costare anche più di 10mila euro.

Il tema resta sempre lo stesso: la vendita, ancora più difficile per i marchi medi o piccoli. «Il mercato editoriale è in mano a 4 grandi gruppi, che sono anche i proprietari delle più importanti e frequentate librerie del paese. Essere librai indipendenti è molto complesso in Italia: non ci sono tutele per queste figure. Quindi sono i big player del mercato a decidere cosa va a scaffale e, quindi, quali editori far fatturare. Il canale online non ha annullato questo collo di bottiglia, reso ancora più stretto dai distributori. Ma noi sappiamo che i lettori vogliono libri sul cibo belli: lo vediamo alle fiere».

Perché i libri sul cibo vendono

Cosa ci piace dei libri che parlano di cibo? Secondo Bolasco, l’argomento «è uno straordinario piacere che fa parte della vita e dell’identità di ognuno di noi. Un volume di Slow Food titolava Difesa del diritto al piacere. Sono oggetti piacevoli, che sanno sedurre, soprattutto se il contenuto è buono e lo si “veste” bene. Agli italiani piace molto parlare di cibo: avere dei libri che lo facciano è parte del fenomeno. Penso che non siano così tanti i titoli buoni sul mercato. Per questo, c’è spazio per farne altri, migliori».

Secondo Tommasi, «il cibo è un minimo comun denominatore che accomuna tutti gli esseri umani. I libri che ne parlano permettono di considerare una persona, un argomento, un luogo più vicini, spazzando via timori e soggezione. L’argomento funziona come un medium che ci permette di aprire un canale di comunicazione su qualsiasi cosa. In più, i libri di cucina, quelli belli, hanno più vita davanti rispetto a romanzi».

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