«Timing is not good». Il momento non è quello opportuno, dice Manfred Weber. Presiede il gruppo politico più ampio dell’Europarlamento, quello popolare, e si riferisce alle prese di posizione dell’Unione europea sul tema dello stato di diritto in Polonia e in Ungheria.

Fino a poche settimane fa, ogni alibi per evitare di applicare il meccanismo che vincola i fondi Ue al rispetto della rule of law sembrava caduto: se mai fosse stato necessario, anche la Corte di giustizia europea ha ribadito il 16 febbraio che la Commissione Ue non ha ragioni per non applicare quel meccanismo.

Ma poi c’è stata l’invasione dell’Ucraina.

Tra gli effetti della guerra nella politica europea, c’è anche quello di annichilire il dibattito sul rispetto dei valori democratici in Polonia e in Ungheria. Il fronte sovranista, che sembrava allontanarsi da Bruxelles, tra le polemiche su Polexit e le relazioni pericolose di Viktor Orbán con Mosca e Pechino, ora si stringe attorno alla bandiera Ue. In cambio chiede indulgenza, e trova comprensione non solo nei sodali più a destra, come Lega e Fratelli d’Italia, ma pure più al centro. Fosse per i popolari, la risoluzione approvata ieri all’Europarlamento anche col loro voto sarebbe stata da rinviare. Per dirla con Weber, «questi paesi stanno accogliendo i rifugiati: non è un buon momento».

Le partite politiche

Finora Bruxelles non ha dato il via libera ai piani di ristoro (recovery plan) polacchi e ungheresi: quei fondi sono al momento congelati, e la squadra del commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni conferma che su questo punto non ci sono novità per ora.

Ma la partita politica si gioca anche sull’applicazione del «meccanismo di condizionalità», e cioè la leva che vincola l’erogazione dei fondi Ue al rispetto dello stato di diritto. Proprio su questo dossier si è espresso ieri l’Europarlamento. Il meccanismo sulla carta è già in vigore da oltre un anno, ma la Commissione europea temporeggia e non lo ha ancora attivato.

Alla base dei ritardi c’è un accordo politico stretto ai tempi della presidenza di turno tedesca tra l’allora cancelliera Angela Merkel, i premier ungherese e polacco; anche nei Consigli europei di ottobre e dicembre, i governi hanno spinto per la linea del compromesso.

La battaglia solitaria dell’Europarlamento per attivare il meccanismo ha trovato una sponda nella sentenza di febbraio della Corte, e subito gli eurodeputati hanno lavorato a una risoluzione per sollecitare Bruxelles. Ieri è stata approvata. Ma il dato politico è che una azione incisiva dell’Ue per lo stato di diritto si allontana sempre più.

La svolta bellica

Witold Waszczykowski è l’emanazione del governo polacco in Ue: ex ministro degli Esteri, espressione dello stesso partito del premier, il Pis, siede come eurodeputato tra le file dei conservatori (Ecr), le stesse di Fratelli d’Italia. Per lui, quella sullo stato di diritto è «una battaglia ideologica: c’è ben altro a cui pensare. Bisogna fermare l’aggressione russa, assistere l’Ucraina e i rifugiati; già oltre un milione è arrivato in Polonia».

L’argomento della guerra, e l’idea che si debba soprassedere sulla rule of law in virtù di uno sforzo di accoglienza polacco, non è usato solo da Varsavia e dai compagni di gruppo meloniani di Ecr. La Lega, e i sovranisti di Id, hanno votato contro la risoluzione perché «in un momento in cui la Polonia è sotto pressione, è una cosa vergognosa». La cooperazione tattica avviata da conservatori e popolari a gennaio con le elezioni di metà mandato dell’Europarlamento si vede anche dalle considerazioni di Weber sui «tempi opportuni».

Chi in aula si è più speso sul tema, come il verde tedesco Daniel Freund, prende atto che «la guerra ha condizionato il dibattito» ma non condivide gli esiti: «Gli ucraini sono in guerra anche per difendere lo stato di diritto; e questa guerra di Putin dimostra proprio quali conseguenze porti assecondare le derive autocratiche». L’eurodeputata dell’opposizione ungherese, la liberale Katalin Cseh, sottolinea anche che per l’accoglienza dei rifugiati andrebbero premiate ong e società civile, più che i governi. «Tutto poggia sulle spalle delle iniziative dal basso», confermano giornalisti come Marta Glanc di Onet: sindaci, volontari, più che azioni del governo polacco.

Ma le obiezioni d’aula contano poco se, come dice Waszczykowski, «alla fine la direzione la decidono i governi». E se - constata l’eurodeputata liberale Sophie in ’t Veld - «Ursula von der Leyen si comporta come il cagnolino del Consiglio europeo».

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