Alle prese con i tagli alle forniture di gas russo e con l’inverno alle porte, l’Europa cede alla tentazione del ritorno al passato energetico. Neppure avere forze ambientaliste al governo rende immuni dal rischio, come dimostra il caso tedesco. Il carbone, che fino a prima della guerra in Ucraina era considerato il grande nemico di un’Europa proiettata sul Green deal, è tornato prepotentemente in auge. L’uscita dal nucleare, concretizzata da Angela Merkel, ora viene messa in discussione proprio nella Germania governata anche dai verdi. Ma non finisce qui: nel dibattito politico entra anche l’ipotesi di consentire il fracking, il sistema estrattivo tanto inviso agli ambientalisti in Usa, e che fa capolino ora come ipotesi in Europa.

La crisi vista da Berlino

«Non si tratta di un solo inverno, dobbiamo ragionare per almeno due». A Berlino, Klaus Müller presiede l’agenzia federale delle reti del gas e ieri ha parlato di «situazione difficile». I nodi sono gli approvvigionamenti e i costi. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, la Germania era dipendente dal gas russo al 55 per cento. Mosca ha utilizzato le forniture di gas come strumento di ricatto, al punto che oggi da Nord Stream 1 arriva solo un quinto del flusso. Rendere difficile l’inverno all’Europa è uno degli strumenti di pressione di Mosca, come le dichiarazioni di ieri di Dmitri Medvedev confermano. L’Unione europea, con il «regolamento sugli stoccaggi», ha imposto agli stati membri di riempire le riserve proprio in vista della crisi, ed entro questo novembre bisogna raggiungere l’80 per cento di stoccaggio. Sia l’Italia che la Germania sono già al 78 per cento; ma il ragionamento di Müller è che più la Russia taglia, più è difficile tenere alte le riserve. Se Mosca taglia è anche perché nel frattempo i prezzi sono aumentati a tal punto da garantire comunque introiti alle stelle; un anno fa il gas costava 28 euro per megawattora, ora 225. E né Berlino né Bruxelles si sono decise a imporre un tetto ai prezzi delle importazioni dalla Russia. Anzi, con i protocolli di allerta in vigore in Germania, le aziende possono ora introdurre un supplemento ai prezzi che ricade in bolletta sui consumatori. In questo contesto, la prospettiva che Germania e Ue offrono ai cittadini è il taglio dei consumi.

Passo indietro

La presenza dei verdi nel governo tedesco non è sufficiente per impedire che la situazione di crisi energetica si ripercuota sulla crisi climatica; anzi, pure le battaglie fondative del partito verde, cresciuto in Germania proprio sull’onda delle proteste contro il nucleare, finiscono compromesse. Nel 2011, sulla scia del disastro di Fukushima, l’allora cancelliera Angela Merkel ha praticato l’uscita dal nucleare: a marzo di undici anni fa, quando ancora il 23 per cento dell’energia in Germania arrivava da fonte nucleare, Merkel ha disposto la chiusura immediata di sette reattori, con l’opinione favorevole di otto tedeschi su dieci. Una scelta che ha resistito alle sfide, anche in tribunale, di multinazionali come Vattenfall. Ora il suo partito – la Cdu – è tra quelli che premono per non spegnere le centrali ancora in funzione. Ma il punto è cosa farà il governo. I liberali di Christian Lindner spingono per i reattori, e il Wall Street Journal questa settimana ha dato per decisa, anche se non ancora ufficialmente, la scelta dell’esecutivo Scholz di posticipare la chiusura dei tre impianti, prevista inizialmente per fine anno. Ma il passo indietro è tutt’altro che facile per i verdi, e infatti dopo l’uscita dell’articolo sono fioccate le prese di distanza. «Io non credo che sia inevitabile affrontare la crisi con una mossa simile», dice l’eurodeputata verde tedesca Jutta Paulus, che si occupa di energia e ambiente. «Realisticamente, quello che mi aspetto è che la chiusura verrà posticipata solo per un impianto, e per un tempo limitato». Paulus sostiene che la scelta di protrarre la vita di uno dei reattori «si spiega con le necessità energetiche del sud della Baviera». E proprio al governatore bavarese, il cristianosociale Markus Söder, attribuisce anche l’ingresso del fracking nel dibattito politico. In realtà i primi a spingere sono i compagni di coalizione liberali.

Fracking, carbone e clima

Il fracking è un sistema di estrazione del gas assai invasivo per l’ambiente, che comporta la fratturazione del sottosuolo e un ingente consumo di acqua. Finora è vietato non solo in Germania, ma in buona parte d’Europa. «Iniziare a usarlo in Germania richiederebbe qualcosa come tre anni – dice l’eurodeputata tedesca Jutta Paulus – visto che bisognerebbe fare valutazioni di impatto, cambiare la legge; e non sappiamo neppure se sarebbe davvero utile». Ma lo scenario non può essere escluso: una fetta della coalizione di governo è a favore. La guerra rappresenta un cavallo di troia perfetto per la deregolamentazione in Europa, e gli esempi si trovano anche sul fronte agroalimentare: fu il premier italiano Mario Draghi a invocare una deregolamentazione degli ogm dopo l’invasione dell’Ucraina. C’è poi il grande passo indietro che è già avvenuto, e che riguarda il carbone. A giugno proprio la Germania, oltre ad altri paesi come l’Austria, ha annunciato che avrebbe riattivato le centrali a carbone. Inoltre i piani dell’Ue per affrontare l’inverno senza gas russo finiscono per incentivare le imprese che passano da gas a carbone. E pensare che tre anni fa era stata una politica tedesca, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, a fare dell’uscita dai combustibili fossili la sua priorità.

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