La corte costituzionale polacca disconosce la corte di giustizia europea e l’ordinamento di Varsavia si distacca da quello dell’Ue. La Polonia sbandiera un “sovranismo del diritto”. Che cosa vuol dire? La vulgata è che Varsavia sta dicendo addio a Bruxelles, la realtà è che sta acuendo lo scontro sperando di sbloccarlo a proprio vantaggio. Ecco una guida rapida alla Polexit giuridica, e alle sue conseguenze. 

L’origine dello scontro

A suscitare le preoccupazioni dell’Unione europea è, da molto tempo ormai, la mancata indipendenza dei giudici polacchi dal loro governo. La corte costituzionale polacca è condizionata dall’esecutivo a cominciare dalla sua stessa composizione. Sei anni fa, Andrzej Duda, tuttora presidente polacco, rimpiazzò tre membri con nomi vicini al partito di governo, Pis. Due anni fa, i parlamentari di Pis hanno eletto come componenti della corte due loro ex colleghi. Quando nel dibattito europeo si parla di violazioni alla rule of law, cioè allo stato di diritto, da parte della Polonia, ci si riferisce anzitutto alla sua «corte-burattino», come la definì Andreas Vosskuhle, ex capo della Corte costituzionale federale in Germania. Lo slittamento del potere giudiziario sotto lo scacco di quello esecutivo è cominciato nel 2015 e prosegue tuttora.

Niente indipendenza dei giudici

La sentenza Ue più recente sul nodo dell’indipendenza risale a questo mercoledì: la corte di giustizia europea si è pronunciata ancora una volta a tutela della libertà dei giudici. Di fronte al trasferimento di un giudice (W.Z.) da una sezione all’altra senza il suo consenso, la corte Ue conferma che «ciò minaccia il principio di non rimovibilità e di indipendenza dei giudici». Dice pure che, al pari di provvedimenti disciplinari, «bisogna evitare condizionamenti». Alla base del verdetto c’è il principio di supremazia dell’ordinamento Ue: «In sintonia con il principio di priorità della legge Ue, la decisione di un tribunale che non è da considerarsi né imparziale né indipendente va considerata nulla».

Il braccio di ferro sulla “disciplina”

Il nodo del disequilibrio fra i due poteri, esecutivo e giudiziario, porta a conseguenze che l’Ue non può accettare. Varsavia ha infatti deciso nel 2018 di introdurre una camera disciplinare, che è una sezione della corte suprema dedicata a imporre misure disciplinari arbitrarie nei confronti di giudici polacchi non in linea con la maggioranza di governo. La corte di giustizia europea insiste da un paio di anni che queste misure, e questa camera disciplinare, minano l’indipendenza dei giudici e perciò violano il quadro normativo europeo. Prima, il tribunale che ha sede in Lussemburgo ha disconosciuto la camera disciplinare, poi ha ordinato di scioglierla, e siccome Varsavia non interveniva ha dovuto farlo Bruxelles; la corte di giustizia europea ha sempre confermato, nel corso dei mesi, la stessa posizione, e cioè che stando all’ordinamento Ue la Polonia aveva torto.

Ma il governo ha sfidato quei pronunciamenti, il premier Mateusz Morawiecki in primavera si è rivolto alla corte costituzionale polacca, e il risultato è la sentenza di ieri. 

Polexit

A Varsavia ieri infatti la corte costituzionale ha preso le distanze dall’ordinamento europeo, disconoscendo – cioè dichiarando incostituzionali – alcune parti dei trattati Ue. Nel merito, il pronunciamento fa riferimento ad alcuni articoli del trattato sull’Unione europea, le cui letture a suo dire sono incostituzionali. In sintesi, la corte di giustizia europea non può permettersi di dire alla Polonia cosa deve fare, o di contestare le scelte della sua corte costituzionale. Nel merito, «le competenze degli organi polacchi non possono essere esercitate da organi ai quali la Polonia non le ha trasferite». Se si tratta di giudici, la competenza rimane del legislatore polacco, non è mai stata trasferita all’Ue. «L'applicazione nel nostro paese, sulla base delle sentenze della corte di giustizia europea, di norme anticostituzionali per la Polonia significa la perdita della nostra sovranità giuridica». Non abbiamo delegato queste parti della nostra sovranità, e il nostro ordinamento viene prima di tutti gli altri, dice Varsavia. 

Questione politica

La sentenza arriva da una corte costituzionale che è a sua volta considerata strutturalmente succube all’esecutivo, e il partito di governo è perfettamente in sintonia con quel verdetto. Non solo la sentenza polacca è giusta, ma «sarei stato deluso da una decisione diversa», ha fatto sapere ieri Il leader del Pis, e vicepremier, Jaroslaw Kaczynski. «Sul sistema giudiziario del nostro paese l’Ue non ha voce in capitolo», dice lui, corroborando la linea della corte di Varsavia. I giuristi polacchi non allineati, come Marek Chmaj, sottolineano l’incongruenza: «La condizione per il nostro ingresso nell’Ue era l’accettazione dell’acquis dei trattati, l'adozione dell'ordinamento giuridico e il trasferimento delle competenze delle autorità statali in determinate materie agli organi dell'Ue. Abbiamo accettato i trattati, compreso quello di Maastricht, che indica i valori su cui si fonda l'Ue: lo stato di diritto, la democrazia, la separazione dei poteri, l'indipendenza dei tribunali e l'indipendenza dei giudici».

Reazione europea

La Commissione e la sua presidente si trincerano dietro a un vago «siamo molto preoccupati». Didier Reynders che ha la delega alla Giustizia fa sapere che Bruxelles «riafferma i principi fondativi dell’ordinamento dell’Unione: la legge europea ha priorità su quella nazionale, anche sui provvedimenti costituzionali. E tutti i pronunciamenti della corte di giustizia europea sono vincolanti per gli stati membri e per le loro corti». La Commissione si riserva di «analizzare il pronunciamento della corte polacca», mentre intanto l’Europarlamento insorge. Il suo presidente, David Sassoli, dice che «quel verdetto non può rimanere senza conseguenze». 

Fattore soldi

Il braccio di ferro Varsavia-Bruxelles va contestualizzato alla luce dei tempi dell’economia. Il paese è fortemente europeista, e se il suo governo va allo scontro è per forzare alcune partite. La questione dei giudici è solo una parte del quadro. La Commissione europea non ha ancora dato il suo beneplacito al piano di Recovery di Varsavia. C’erano infatti almeno due modi per ottenere da Varsavia che rispettasse le richieste europee. Uno era quello su cui spingono gli europarlamentari, e cioè far valere la clausola di condizionalità dei fondi Ue al rispetto dello stato di diritto. L’altro è fare pressione sul governo e tergiversare sulla approvazione stessa del pacchetto di aiuti europei. Scelta che il Pis a quanto pare non gradisce, perciò forza lo scontro. 

Sovranismi redivivi

La mossa di Varsavia è l’occasione perfetta per altri esponenti di estrema destra. L’Ungheria ha sempre fatto coppia con la Polonia, essendo entrambi i paesi in torto sullo stato di diritto. Ma anche la Francia si avvicina alla campagna elettorale per le presidenziali di primavera. E allora ecco Éric Zemmour –  il polemista che dall’estrema destra vuole rubare consensi a Marine Le Pen – che cerca spazio in scena e pubblico: «Il momento di restituire al diritto francese la priorità su quello europeo è arrivato», dice in un comunicato stampa. «Sostengo il popolo polacco». Anche se sarebbe più corretto dire, il suo governo.

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