Il primo consiglio dei ministri dopo la settimana di montagne russe delle votazioni del Quirinale si è aperto in un clima surreale. Con i ringraziamenti del premier Mario Draghi, che al Quirinale aspirava, al presidente Sergio Mattarella, che al Quirinale è rimasto, tra gli applausi dei membri del governo, alcuni rientrati nella veste di responsabili dei dicasteri dopo aver per sette giorni vestito quelli di capi corrente.

Il premier, rifiutato dai partiti come presidente, ha tirato dritto su chiusure e obbligo di mascherina anche all’aperto fino al 10 febbraio e soprattutto ha fissato una rapida verifica per i ministri sui traguardi da centrare per ottenere la seconda rata di finanziamenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

45 traguardi e obiettivi

«L'erogazione della seconda rata in scadenza al 30 giugno 2022, presuppone il conseguimento di 45 traguardi e obiettivi per un contributo finanziario e di prestiti pari a 24,1 miliardi di euro. In vista della realizzazione dei suddetti traguardi e obiettivi chiederei, nei prossimi giorni, a tutti i ministri di indicare dello stato di attuazione degli investimenti e delle riforme di competenza, segnalando l'eventuale necessità di interventi normativi e correttivi connessi alla realizzazione dei suddetti obiettivi e traguardi», ha detto Draghi aprendo il consiglio dei ministri. E annunciando subito un secondo consiglio, fissato per mercoledì 2 febbraio, dedicato a una «puntuale ricognizione della situazione».

Si tratta di una ricognizione che arriva a meno di un mese dalla stesura della relazione finale sull’avanzamento del piano presentata dal governo a fine anno con molta profusione di ottimismo e senza che il sistema di monitoraggio pubblico dell’avanzamento delle attività, indicato come precondizione del Piano addirittura nel “contratto” iniziale con l’Ue, sia stato effettivamente messo in piedi.

Le riforme entro giugno

Entro la fine del 2022 deve essere completato il 67 per cento dei traguardi del Pnrr, quelli necessari a mettere le basi per la realizzazione successiva dei progetti. Considerando solo la scadenza del 30 giugno, il ministero che ha maggiori obiettivi da centrare è quello della transizione ecologica guidato da Roberto Cingolani che ha ben dodici scadenze da rispettare, dall’aggiudicazione di tutti i contratti di ricerca e sviluppo sull’idrogeno all’entrata in vigore del decreto sul programma nazionale rifiuti fino alla strategia nazionale sull’economia circolare e fino a qualche settimana fa stava ancora riorganizzando la struttura del ministero.

Poi vengono quasi appaiati Giancarlo Giorgetti – 6 obiettivi ma uno in scadenza a giugno già centrato il 28 gennaio con gli investimenti per start up assegnati a Cdp Venture Capital Sgr – e Roberto Speranza e Dario Franceschini con cinque traguardi. 

Dalla sanità alla spending review

Il ministero della Salute è chiamato a firmare il decreto che riforma la sanità e  tutti i contratti di sviluppo collegati alla riforma, quelli che decidono il funzionamento delle case e degli ospedali di comunità, le nuove strutture della sanità territoriale e delle linee guida per l’assistenza domiciliare ai pazienti tramite servizi di telemedicina. Quello della Cultura deve assegnare molti fondi: per l’efficienza energetica di cinema, teatri e musei, per parchi e giardini storici, per i borghi turistici e per gli edifici di culto.

La ministra Maria Cristina Messa deve aggiudicare tutte le gare sui centri di ricerca: quindi selezionare quali centri sono i leader territoriali, legati a reti di imprese, quali sono i campioni di ricerca e sviluppo nazionali. 

Il ministro della transizione digitale, Vittorio Colao, deve aggiudicare tutte le gare per la banda larga. Ieri intanto ha ottenuto il via libera della Ue sugli aiuti di stato per le reti mobili 5G: 3,8 miliardi di euro di finanziamenti. 

Poi ci sono ministri come Patrizio Bianchi che devono affrontare poche scadenze ma complesse: entro giugno il responsabile dell’istruzione deve varare la riforma del reclutamento degli insegnati. Non proprio una passeggiata. E intanto il ministro dell’Economia Daniele Franco deve mettere nero su bianco la spending review per il triennio 2023 – 2025. Alla presidenza del consiglio dei ministri tocca poi una delle riforme più difficili da far digerire ai partiti quella sugli appalti pubblici e le concessioni. ​​​​​​

Il dato sul Pil diffuso ieri dall’Istat – in crescita del 6,5 per cento, ma senza aver recuperato i livelli del 2019 – fa presagire che il totale di fondi disponibili per l’Italia dovrebbe calare: a giugno si ridiscute in base all’andamento delle economie europee l’assegnazione del 30 per cento dei fondi. Notizia tutto sommato positiva, considerando l’usuale capacità di spesa italiana. E le dichiarazioni del ministro Enrico Giovannini sulla possibile revisione dei progetti. La vera verifica di governo, intanto, è già domani.

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