Le voci di disimpegno dalla maggioranza che vengono fatte filtrare dalla Lega e ieri debbono essere smentite da Matteo Salvini («La Lega intende rimanere dov’è, con Mario Draghi a palazzo Chigi, per completare il lavoro»); la mancata conferenza stampa dopo l’ultimo Consiglio dei ministri; il presidente Draghi che viene “consigliato” dai parlamentari di sfilarsi dalla corsa per il Colle; da ultimo i conflitti per interposta Commissione europea sulla proposta di inserire il nucleare nella lista delle attività economiche sostenibili.

La vigilia delle votazioni per il Colle è lunghissima. Quindi pericolosissima. Perché nel frattempo è il governo a farne le spese: la maggioranza regge a stento. Anche se, visto da palazzo Chigi, non è un fenomeno di inizio anno: la condizione che viene definita «di sfilacciamento» risale ormai a due mesi fa. A dispetto delle universali dichiarazioni a favore della stabilità, sembra avverarsi la profezia di Enrico Letta quando, a fine 2021, chiedeva ai leader (e ai suoi parlamentari) una «moratoria» sul tema del Quirinale.

In questi giorni viene ripetuta con parole più esplicite da un deputato vicino a Letta: «Dobbiamo preservare Draghi. Bruciarlo significa dare all’Europa e al mondo un’immagine dell’Italia come un sistema inemendabile. Nessuno in tutto il mondo può ritenere possibile un fallimento di Draghi. Tutelare la sua forza politica significa tutelare il sistema-paese di fronte a tutti e a tutto».

«I partiti decidano»

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Anche per questa ragione Letta è stato l’unico fra i segretari di partito che, all’indomani della conferenza di fine anno del premier, non ha chiuso la porta all’ipotesi di un trasloco al Colle.

Vedeva in questa mossa non solo una tutela a lungo termine sui conti del paese e sui fondi del Pnrr, ma anche l’unica vera garanzia per la legislatura: viceversa, un suo indebolimento significherebbe non avere Draghi al Colle, ma neanche a palazzo Chigi.

A palazzo Chigi la consapevolezza del momento delicato c’è. Ma, appunto, non è una novità. Da tempo ci si interroga su cosa vogliano davvero fare i partiti della maggioranza. Non solo.

Con il risalire dei contagi, il governo ha avuto anche un saggio dei rapporti turbolenti con i presidenti di regione, e in particolare con quelli del centrosinistra. Che vogliono tenere aperti i ristoranti e chiuse le scuole. Per Draghi le scuole devono restare aperte, ci penseranno già le quarantene a mandare in didattica a distanza i più piccoli (le vaccinazioni fra i 5 e gli 11 anni sono iniziate solo il 16 dicembre). Durante la cabina di regia il ministro Dario Franceschini ha riproposto le chiusure degli istituti, come durante il Conte II. Ma Draghi «non vuole fare come il Conte II», è il mantra. Resta però da capire se sarà costretto dal Generale Omicron a rimangiarsi la scelta.

La conferenza stampa è rimandata a dopo il varo del nuovo decreto Sostegni. Dovrebbero arrivare quelli che un anno fa venivano chiamati “ristori” per i settori azzoppati dalla ripresa dei contagi, in particolare il turismo e le discoteche, chiuse dal dl festività fino al 31 gennaio, almeno fin qui.

Dal ministero dell’Economia non trapelano cifre. Ancora non ci sono stime dei danni. Per questo il provvedimento potrebbe slittare a dopo l’elezione del nuovo (in realtà non necessariamente nuovo) inquilino del Colle. Il che vuol dire che potrebbe arrivare in una nuova era politica. Ma è difficile: c’è fretta sulla cassa integrazione, scaduta a gennaio e da rifinanziare.

Dopo la parziale introduzione dell’obbligo vaccinale, il prossimo round di decisioni non sarà una passeggiata per la maggioranza ormai percorsa da scosse di elettricità: la Lega già fa rullare tamburi di guerra sugli aiuti agli impianti sciistici.

Un accordo

Il presidente non può non vedere lo stato comatoso della maggioranza. A farne un’analisi impietosa è Carlo Calenda sull’Huffington Post. «Il governo si è inceppato. In un mese l’esecutivo Draghi ha compiuto passi falsi su almeno tre questioni», legge di Bilancio, caro bollette e obbligo vaccinale a metà.

«Invece di continuare con l’inutile gioco sull’identikit del prossimo presidente della Repubblica dovremmo rovesciare la prospettiva e verificare prima di tutto se esistono le condizioni per la continuazione del governo Draghi». Per Calenda serve «un accordo di fine legislatura solido e ambizioso». Che è anche una delle condizioni che Letta ha posto al tavolo dei leader giallorossi per tentare di portare Draghi al Colle.

Il discorso però non si può neanche aprire con le destre finché da quella parte del tavolo non viene ritirato il nome di Berlusconi. Ma è possibile eleggere Draghi al Colle dopo aver preso atto, il suo fine corsa a palazzo Chigi? E una maggioranza che si spappola con Draghi, può ricostituirsi con un suo succedaneo, e nell’anno prima delle politiche? I quesiti si avvitano su sé stessi, come cani che si mordono la coda.

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