Il passo falso del Movimento 5 stelle, che non ha votato la fiducia finale al dl Aiuti in aula alla Camera, per riportare il centrodestra al centro della scena politica.

La richiesta di una «verifica di maggioranza» avanzata immediatamente da Silvio Berlusconi e la successiva salita del premier Mario Draghi al Quirinale per un consulto con il presidente Sergio Mattarella hanno provocato esattamente l’effetto sperato: consolidare l’idea che esista un governo anche senza Cinque stelle, la cui alternativa è solo un voto a dicembre. In entrambi i casi, prospettive che piacciono sia a Forza Italia che alla Lega, che hanno ritrovato sintonia in questa fase.

«L’intento di Berlusconi era quello di sterilizzare il governo perchè poi possa andare avanti senza infezioni» dice una fonte governativa di Forza Italia con una metafora medica. «L’intento, riuscito, non era quello di sabotare il governo ma di scoprire subito il gioco dei grillini: se si fosse aspettato giovedì, sicuramente saremmo stati un passo più vicini alla crisi. Invece così abbiamo aiutato Draghi ad avere un’arma contro le mosse avventate del Movimento e nello stesso tempo imposto chiarezza a Conte».

Così viene spiegata tra le file di Forza Italia la mossa del Cavaliere, che non a caso ha scelto di intervenire in prima persona appena ha visto lo spiraglio per agire.

Il dl Aiuti, infatti, dovrebbe passare senza intoppi anche senza il Movimento ridimensionato dalla scissione di Luigi Di Maio e proprio questa certezza degli alleati di governo indebolisce Conte, che ora si ritrova nella difficile posizione di dover spiegare alla maggioranza che cosa farà giovedì: se voterà il dl la sconfitta sarà clamorosa, se non lo voterà dovrà assumersi la responsabilità di una pre-crisi di governo.

Le parole di Draghi

Draghi è stato chiaro e lo ha ripetuto in conferenza stampa: non esiste l’ipotesi di un governo Draghi bis senza il Movimento, né l’ipotesi che i partiti presentino la loro lista della spesa di desiderata minacciando la crisi. Questo vale per i grillini, ma anche per il centrodestra e in particolare la Lega.

«Se il governo riesce a lavorare continua, se non riesce a lavorare non continua. Sento che a settembre qualcuno minaccia sfracelli, ma se si verificasse una situazione per cui il governo non riesce a lavorare, a quel punto perde il suo senso di esistere» ha detto il premier.

Il riferimento settembrino è certamente a Pontida, la festa leghista del 18 del mese durante la quale – secondo molte ricostruzioni di stampa – Matteo Salvini potrebbe decidere per lo strappo.

Il messaggio di Draghi è lineare: l’agenda di governo è abbondantemente fissata e soprattutto densa, considerando che a ottobre arriva anche la legge di Bilancio. Se i partiti vogliono modificare o disattendere gli impegni presi, impedendo così l’agire del governo, l’Esecutivo rimette il mandato. Poi, quel che succederà è nelle mani di Mattarella, come ha ribadito anche Draghi.

Quindi, posto che un voto a ottobre è assolutamente inusuale oltre che improvvido, «l’ipotesi è di un governo dimissionario che svolga gli affari correnti e approvi la Finanziaria, che non a caso il gabinetto del ministero dell’Economia si sta affrettando a chiudere nelle sue direttrici principali», dice chi lavora a stretto contatto con l’ufficio del ministro Daniele Franco.

Dopo i giorni di tensione, tuttavia, entrambe le opzioni sono buone per il centrodestra. Se il governo proseguisse senza cambi, vorrebbe dire che Conte ha dovuto capitolare perdendo ulteriormente di credibilità.

Se il Movimento uscisse, il centrodestra potrebbe porsi come nuovo asse di stabilità e, con i voti anche dei centristi di Di Maio, l’esecutivo potrebbe proseguire con lo scopo di chiudere la legge di Bilancio.

Se infine – ipotesi considerata la meno probabile - il governo cadesse ora e si tornasse al voto, la responsabilità cadrebbe sui grillini e il centrodestra è ancora avanti nei sondaggi.

Scoprendo il maldestro bluff di Conte, dunque, Berlusconi ha rimesso in carreggiata il centrodestra, che ora può presentarsi come il blocco stabile di governo anche rispetto al Partito democratico.

La Lega, infatti, ha colto l’occasione per ribadire come anche il Pd stia giocando con il fuoco, sfidando il parlamento con ius scholae e cannabis. «Provocazioni che non aiutano, in una fase in cui ci si dovrebbe concentrare solo sull’agenda di governo», dice un deputato leghista nel giorno in cui il suo partito, con ostruzionismo d’aula, è riuscito a far slittare l’arrivo di entrambi i disegni di legge.

Non solo: Salvini ha subito sfruttato la giornata per sollecitare il governo. Draghi ha escluso uno scostamento di bilancio, mentre il leader della Lega ha detto di pensarla diversamente: «O si mettono 50 miliardi veri nelle tasche dei cittadini, oppure con i micro interventi non si risolve nulla». Parole utili in vista di una futura campagna elettorale, ma anche il segnale che la Lega non intende archiviare l’ipotesi di sfilarsi dal governo se le risposte economiche di Draghi non convincessero.

Dopo l’attacco, è il momento dell’attesa: sia Salvini che Berlusconi aspettano che Conte sciolga le riserve sul voto al Senato sul dl Aiuti. Sulla base di quello, spiegano fonti azzurre, si deciderà come proseguire.

Intanto, la richiesta di verifica ha messo in difficoltà il Movimento e incrinato ancora di più il suo rapporto con i dem. Due risultati importanti, soprattutto in chiave elettorale.

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