La soluzione che tampona la situazione di stallo giuridico del Movimento 5 stelle individuata dai legali, dal fondatore Beppe Grillo e dal presidente sospeso Giuseppe Conte non basta a risolvere i problemi del partito. Anzi: a peggiorare il clima nel partito arriva nel pomeriggio la conferenza stampa del presidente del Consiglio Mario Draghi, che denuncia senza pietà le mancanze del superbonus 110 per cento, cavallo di battaglia dei Cinque stelle. 

«Chi più tuona sul superbonus, sulla necessità che le frodi non contino e che bisogna andare avanti lo stesso sono quelli che hanno scritto la legge senza fare controlli» ha detto il premier. «Se ci troviamo in questa situazione è perché si è voluto costruire una sistema con pochissimi controlli». Un intervento che è stato interpretato dal Movimento come un’esplicita dichiarazione di guerra: le chat raccolgono l’indignazione dei parlamentari, più tardi si muove anche la comunicazione ufficiale. «Attribuire i 2,3 miliardi di frodi al Superbonus è semplicemente una falsità», filtra in serata dall’entourage di Giuseppe Conte. «Non accettiamo che quello delle frodi sia usato come un pretesto per affossare una misura con la quale stiamo proteggendo e valorizzando quel bene così prezioso per gli italiani che è la casa». La nota promette anche una richiesta di informativa urgente al ministro dell’Economia Daniele Franco per «sgomberare il campo da ogni equivoco». 

L’attacco dell’ex banchiere a una delle misure a cui il M5s è più affezionato fa riaffiorare antiche ostilità del Movimento nei confronti del presidente del Consiglio. il rapporto tra Draghi e Conte non è mai decollato dopo il loro passaggio di consegne a palazzo Chigi e si è definitivamente schiantato nella settimana di trattative per il Quirinale, quando il presidente dei Cinque stelle ha usato tutti gli strumenti a sua disposizione per impedire l’elezione al Colle di Draghi. 

La mossa di Draghi crea anche un’ulteriore sfaccettatura nel lungo e complesso rapporto tra Conte e Luigi Di Maio: il ministro degli Esteri è in ottimi rapporti col presidente e ora si trova in imbarazzo di fronte ai colleghi parlamentari che si chiedono che ruolo giocheranno i ministri della delegazione a Cinque stelle in questo scontro. 

Conte sfrutta l’occasione dello scontro con Draghi per allontanare la narrazione del Movimento dall’impasse giuridico che ha bloccato il partito per una settimana, fino alla discesa a Roma del fondatore Beppe Grillo. E, almeno con i parlamentari, ha parzialmente successo: dopo settimane di apatia, in cui erano ormai fermi a guardare il Movimento che si sgretolava tra le loro mani, ora tornano ad allearsi contro un nemico comune. «Tanti stanno decidendo in questo mese con chi schierarsi, Di Maio o Conte, o assistono allo scontro iniziando a valutare la possibilità di un addio. Ma oggi l’indignazione è tutta per Draghi», dice un deputato alla prima legislatura. 

Anche perché sul fronte dell’impasse giuridico i parlamentari ancora non possono tirare un sospiro di sollievo. 

Il rinvio

La soluzione annunciata giovedì in tarda serata dai due vertici dei Cinque stelle, secondo Grillo risultato di una «riunione antibiotica», è lo scontro diretto con il tribunale di Napoli che ha ordinato la sospensione di tutti i vertici del partito. I legali presenteranno infatti istanza di revoca. Ma dal punto di vista legale, la strategia degli avvocati del Movimento presenta delle fragilità.

Il problema più evidente è quello della mancanza del «fatto nuovo». Secondo i legali del partito, l’esclusione degli iscritti al Movimento da meno di sei mesi dal voto per la convalida di statuto ed elezione del presidente (il motivo principale della sospensione), è giustificata da una regola dello statuto precedente. Al momento della votazione, secondo gli avvocati, quel testo era da considerarsi ancora in vigore.

Ma a questo punto, i legali dovrebbero dimostrare anche che i maggiorenti dei Cinque stelle non fossero a conoscenza dei dettagli del proprio statuto. La norma prevede infatti che i fatti sollevati all’attenzione del tribunale che siano anteriori al provvedimento non siano stati presentati prima soltanto perché precedentemente ignoti. Tradotto: i Cinque stelle non conoscevano le loro regole, quindi non le hanno fatte valere davanti ai giudici nel momento opportuno.

Effettivamente, l’ex reggente Vito Crimi ha perso l’occasione di comunicare per tempo ai suoi colleghi quel passaggio del vecchio statuto, che è venuto alla luce solo nel confronto di giovedì con i legali. Ma lo scopo di un reclamo del genere è soprattutto quello di mantenere la questione sub iudice, senza lasciare che passi in giudicato e diventi quindi irrevocabile. Insomma, gli avvocati hanno comprato tempo: adesso, l’istanza, di cui manca ancora il testo definitivo, dovrebbe essere ridiscussa nel giro di un paio di settimane dalla presentazione, tendenzialmente non prima del prossimo primo marzo. 

Se il tribunale partenopeo dovesse decidere di confermare la decisione, il Movimento si troverà al punto di partenza e dovrà scegliere se far rivotare lo statuto di Conte e la sua incoronazione oppure procedere con la scelta dei membri del Comitato di garanzia e di quello direttivo. Ma, nel frattempo, Conte può unire il partito nella guerra contro il presidente del Consiglio.

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