Nel Movimento 5 stelle si continua a navigare a vista. Le ore passano e Giuseppe Conte e i suoi fedelissimi si affannano per trovare una soluzione all’impasse legale in cui li ha gettati la decisione del tribunale di Napoli sospendendo la validità dello statuto di Giuseppe Conte e la sua elezione a presidente dei Cinque stelle.

In mattinata si fa sentire il garante: Beppe Grillo, descritto da chi lo conosce bene come furente con Conte e il suo cerchio magico, scrive che «le sentenze si rispettano» e che «non si possono prendere decisioni avventate». Il fondatore promette di voler «promuovere un confronto anche con Giuseppe Conte». In coda, un invito a «rimanere in silenzio e a non assumere iniziative azzardate prima che ci sia condivisione sulla strada da seguire».

Grillo ordina, Conte esegue. Il post viene ricondiviso nel giro di pochi minuti dal presidente sospeso, che in questo modo si intesta l’interpretazione delle parole ambigue di Grillo. Poco importa che più tardi, nel primo pomeriggio, deve annullare la sua partecipazione a Porta a porta, dove era atteso in serata. Doveva essere un’ulteriore tappa dell’esposizione comunicativa che Conte aveva lanciato lunedì pomeriggio.

Il presidente aveva respinto la sospensione e rivendicato il suo incarico anche a Ottoemezzo, parlando di «giornaloni» e «carte bollate», in un ritorno ai capisaldi comunicativi del Movimento dei primi tempi. Una scelta che non ha entusiasmato la vecchia guardia dei parlamentari Cinque stelle: «Oggi usa il nostro linguaggio delle origini e prova a farci passare da vittime del sistema, ma che ne sa lui, che è sempre stato solo “avvocatese” e pochette dell’attivismo e dei banchetti» dice un deputato alla seconda legislatura.

Tutto il partito resta in attesa delle mosse del fondatore: ne è prova anche l’esito dell’assemblea serale del gruppo parlamentare di Montecitorio, che si è chiuso con una dubbiosa ripresa del post di Grillo del mattino. «Bisogna aspettare e studiare la vicenda», dice il capogruppo alla Camera Davide Crippa. Uno scambio superficiale che non ha dato riscontri concreti sulla situazione. «L’ennesima recita studiata con interventi fasulli, anche basta», dice un parlamentare del nord.

Anche dal Senato arriva la raccomandazione di pazientare, come spiega la capogruppo Mariolina Castellone, in visita da Conte nel pomeriggio. «Vediamo di fare tutte le valutazioni», ha detto lasciando la residenza dell’ex premier.

Ma è anche interesse di Grillo trovare una soluzione: in assenza di altri, su di lui ricadono tutti i poteri, ma anche tutte le incombenze, pure economiche, del Movimento.

Le possibilità di Grillo

A questo punto, è possibile che fino alla sentenza definitiva Grillo affidi con una delega esplicita o de facto il potere a Conte per mantenere lo status quo, ma se la situazione, definitiva «grave» dallo stesso garante, dovesse essere confermata dalla sentenza del tribunale, il pallino tornerebbe definitivamente nelle mani di Grillo.

A quel punto, si dipanerebbero di fronte a lui due strade. Potrebbe scegliere di indire una votazione per eleggere il comitato direttivo, secondo le indicazioni del vecchio statuto, che prevedeva una guida collegiale per il Movimento che aveva detto per sempre addio all’uomo solo al comando. Oppure, potrebbe forzare la mano e riproporre agli iscritti, stavolta anche a quelli arrivati da meno di sei mesi, la convalida dell’elezione di Conte e dello statuto dell’avvocato del popolo.

Dopo la decisione del tribunale di Napoli si pone però anche il dubbio di quale sia la piattaforma su cui convocare la convocazione. Con l’invalidazione di tutte le decisioni più recenti dei vertici, anche la scelta di Skyvote, che aveva ospitato le ultime votazioni, potrebbe essere considerata decaduta o quantomeno esposta a nuovi ricorsi.

Tornare su Rousseau significherebbe però riaprire la ferita profonda che il partito aveva cercato di sanare dopo lo strappo della primavera.

Chi sta seguendo alla lettera l’indicazione di restare in silenzio di Grillo è Luigi Di Maio. Il ministro degli Esteri non si è più esposto da sabato, quando ha comunicato le proprie dimissioni da presidente del Comitato di garanzia. «Ora lui è quello che va più tenuto d’occhio» dice un deputato alla prima esperienza. Da un Conte indebolito, è il ragionamento, sarà più facile per Di Maio ottenere se non una pace, almeno un armistizio. «Quel che vuole è una deroga sulla regola del secondo mandato per sé e i suoi. Una volta concessa, tornerà a lavorare per il partito», continua il parlamentare. Effettivamente, Conte nella sua ultima (almeno per i prossimi tempi) apparizione televisiva aveva accennato a «qualche deroga» al divieto di ricandidarsi.

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