Niente scosse su Cassa depositi e prestiti. Tutto può accadere fino all’ultimo minuto, ma risulta a Domani che la rotta in valutazione è quella di dare continuità rispetto a un operato che ha finora soddisfatto il governo, a cominciare da Palazzo Chigi.

E così ci sarebbe l’intenzione di confermare una delle pedine più importanti del prossimo giro di nomine: l’amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, Dario Scannapieco. Capo di un ente che vale come cinque ministeri. Giorgia Meloni in persona sta valutando il dossier, di sponda con gli altri ministri interessati e i due fedelissimi sottosegretari, Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari.

L’attuale amministratore delegato è stato voluto da Mario Draghi nel 2021. Il manager non ha certo i galloni del meloniano doc, così come il presidente Giovanni Gorno Tempini. Ma a entrambi viene riconosciuto il pragmatismo nella gestione della società.

Linea pragmatica

La presidente del Consiglio, almeno in questo caso, non dovrebbe far pesare troppo il principio di fedeltà. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per qualche tempo ha ipotizzato nomi alternativi (come quello di Antonino Turicchi di Ita e di Marcello Sala, capo del dipartimento di Economia del Mef, e – con quotazioni più basse – Alessandro Daffina di Rothschild Italia e Luigi de Vecchi di Emea) ma ora anche lui pare essersi convinto che uno scontro con Meloni potrebbe vederlo sconfitto. La linea di Chigi è grossomodo la seguente: «Se ci sono risultati tangibili, nelle partecipate è solo rischioso cambiare».

Scannapieco e il suo gruppo di lavoro (tra i quali risulta essersi mosso molto, sia per curare le relazioni con Chigi sia per chiudere i dossier più delicati, il manager Fabio Barchiesi, vero braccio destro dell’ad) possono vantare un utile in crescita del 23 per cento, sopra i 3 miliardi di euro. Gli esperti hanno sottolineato che si tratta di un risultato mai conseguito prima. Così come viene giudicata positivamente la crescita dell’8 per cento degli stock di credito. A braccetto va il rafforzamento patrimoniale: il capitale, nel 2021, ammontava a 300 milioni. Dopo meno di tre anni, a febbraio scorso, è stata toccata la soglia dei 2,8 miliardi di euro superando gli obiettivi stabiliti a 1,2 miliardi di euro. Appunti e cifre che nell’entourage di Meloni non sono passati inosservati. Specie quando si parla di parsimonia nella distribuzione dei dividendi. Un tema aziendale, certo, ma che ha un valore politico.

Confronto a destra

La partita di Cdp è del resto la più importante di tutte per l’imponenza economica della società con sede in via Goito. La società gestisce, per definizione, i risparmi postali dei cittadini. Proprio per questo motivo la premier non vuole scendere a compromessi con gli alleati, Matteo Salvini in testa. Forza Italia è infatti disposta a dare l’avallo alla strategia della continuità nelle nomine, nel solco della posizione accomodante assunta da Antonio Tajani verso la premier.

Il leader della Lega ha già fiutato l’aria e sembra orientato a rinunciare alle barricate su Cassa depositi e prestiti. Punterà i fari su altre controllate, come Ferrovie dello Stato e Anas, che sono anche più vicine al suo ruolo da ministro delle Infrastrutture. Ma che il segretario della Lega riesca a passare all’incasso, comunque, è tutto da valutare. Meloni sa di essere il pivot della coalizione e si sente sempre più forte in vista del voto delle europee di giugno. Non è comunque a oggi chiaro, soprattutto per Fs guidata da Luigi Ferraris, quando verranno convocate le assemblee.

Insomma, a Palazzo Chigi il dossier Cdp è stato sviscerato in ogni dettaglio, arrivando alla conclusione che la strategia aziendale ha avuto un risvolto politico positivo. Oltre ai dati interni alla società, su utili e credito, nel biennio appena trascorso la società ha sostenuto investimenti di oltre 133 miliardi di euro con una ricaduta del Pil stimata all’1,6 per cento e in circa 400mila posti di lavoro conservati grazie allo stimolo della società all’economia.

Al ministero delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso ha dato seguito alla rotta, in parte intrapresa dal suo predecessore (nel governo Draghi) Giancarlo Giorgetti, di far leva su Cdp per risolvere alcuni tavoli di crisi aziendali molto delicati. Tra questi c’è il caso di Ansaldo Energia, che aveva chiuso il bilancio del 2022 con una perdita di 559 milioni di euro. La società genovese ha pagato dazio alle tensioni geopolitiche e alla guerra in Ucraina. La ricapitalizzazione è stata possibile grazie all’intervento da 580 milioni di euro di Cdp Equity, che sta operando come braccio per gli investimenti e l’aggregazione delle imprese. L’operazione ha fatto tirare un bel sospiro di sollievo al Mimit, che ha trovato nella società guidata da Scannapieco un’interlocutrice anche su altri capitoli, per esempio Trevi e Valvitalia.

Piano Mattei

Meloni ha poi bisogno di uno sguardo internazionale di Cassa depositi e prestiti per cercare l’impossibile: la realizzazione di quel piano Mattei raccontato come una rivoluzione epocale. Ma che, a oggi, resta un libro dei sogni. Per questo a Palazzo Chigi si ragionano sulle modalità di attuazione del progetto, per cui serve per forza di cose il portafogli, e ancora di più le competenze, di via Goito. L’internalizzazione voluta da Scannapieco convince Palazzo Chigi.

Negli ultimi tre anni, Cdp ha convogliato risorse in Italia per un miliardo di euro, reinvestiti con una ricaduta positiva per due miliardi di euro. La premier accarezza il sogno di un’operazione simile sul piano Mattei. E per provarci spera che il draghiano Scannapieco le dia una mano.

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