A distanza oramai di diversi mesi dall’inizio del conflitto ucraino, le iniziative già adottate o solo auspicate a livello internazionale nell’ottica di agevolarne la composizione crescono di giorno in giorno e sono tutte sintomatiche di un attivismo giudiziario e diplomatico probabilmente mai sperimentato prima.

Tra queste iniziative ve ne è una che merita un’attenzione particolare. Per ora si parla solo di una proposta, ma l’eco mediatica che ha generato, anche grazie allo spessore – scientifico e politico – dei suoi proponenti e al richiamo costante che lo stesso presidente ucraino, Zelensky, ne fa nelle sue dichiarazioni pubbliche, impone di tenerne conto.

Si tratta dell’idea di dare vita a un Tribunale speciale per la punizione del crimine di aggressione contro l’Ucraina che, muovendo dichiaratamente dal modello del Tribunale di Norimberga, possa giudicare i presunti responsabili, ossia coloro i quali, trovandosi in una posizione di controllo dell’azione politica o militare della Federazione russa, abbiano contribuito all’uso illecito della forza armata internazionale ai danni dell’Ucraina. L’esigenza di discuterne, del resto, è resa ancora più pressante dalla risoluzione con cui l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, lo scorso 28 aprile, ha fatto propria la proposta.

La ratio e i dubbi

La ratio è chiara. La Corte penale internazionale, in base all’articolo 15bis del proprio Statuto così come emendato a Kampala nel 2010, e dunque per effetto della volontà degli stessi stati che ne sono gli artefici, non può perseguire il crimine di aggressione nel caso di specie, in quanto coloro che si presume l’abbiano commesso sono cittadini di uno stato, la Russia, che di quello Statuto non è parte; di qui l’idea di un Tribunale ad hoc che possa farlo.

Detto altrimenti, il Tribunale speciale non avrebbe competenza alcuna riguardo ai crimini di guerra e contro l’umanità commessi, ad esempio, nelle città di Bucha e di Izyum; e per i quali può senz’altro procedere – come sembra intenzionata a fare – la Corte penale internazionale. La sua, piuttosto, sarebbe una funzione residuale, quella di giudicare l’unico crimine che la Corte non è in grado di conoscere: l’aggressione. Ma ciononostante la proposta lascia perplessi.

Anzitutto, sul piano simbolico, o meglio del messaggio che questa iniziativa finisce in ogni caso per esprimere al di là dei problemi tecnici che la sottendono: dare vita a un Tribunale modellato sul precedente storico di Norimberga – precedente la cui importanza ai fini della nascita e dell’evoluzione del diritto internazionale penale resta indiscutibile – segnerebbe il ritorno a un modello di giustizia penale internazionale “selettiva”, perché all’evidenza a essere perseguito sarebbe solo ed esclusivamente il presunto crimine di aggressione commesso dalla Russia contro l’Ucraina, e le responsabilità individuali a esso connesse. 

D’altra parte, l’istituzione di tribunali ad hoc, per lo più funzionale a rispondere a una richiesta indifferibile di giustizia, non è mai un’operazione agevole, specie per la difficoltà di provvedere in tempi rapidi rimanendo però nelle maglie di ciò che è consentito dal diritto.

Al di là del tribunale di Norimberga, che come “tribunale dei vincitori” (così chiamato perché espressione della volontà comune degli stati che avevano vinto la Seconda guerra mondiale) sollevava dubbi finanche in relazione alla terzietà e imparzialità dei suoi componenti, a offrirne una prova tangibile è senz’altro l’esperienza più recente dei Tribunali per la ex Iugoslavia e per il Ruanda.

In entrambi i casi, per porre rimedio prontamente ai conflitti etnici che avevano dilaniato quei paesi, è stato il Consiglio di sicurezza a farsi parte attiva, istituendo esso stesso i due Tribunali con le risoluzioni rispettivamente del 1993 e del 1994. Ma la conformità alla Carta delle Nazioni unite di entrambe le risoluzioni era stata dibattuta sin dall’inizio: nessuna norma della Carta, infatti, riconosce al Consiglio il potere di creare organi con funzioni giurisdizionali.

Certo, riguardo alla crisi ucraina, il tribunale ad hoc verrebbe costituito attraverso la conclusione di un accordo multilaterale, ossia un testo scritto accettato dagli stati e volto a legittimare espressamente il suo operato. Senonché, proprio per questa ragione, la convinzione di molti, e anzitutto di Zelensky, per cui si potrebbe procedere senza ostacoli in pochi mesi appare oltremodo ottimistica. E il primo ostacolo riguarderebbe la difficoltà, per i paesi coinvolti nella negoziazione dell’accordo, di convergere su una definizione condivisa di aggressione e dunque di perimetrare il crimine su cui il costituendo tribunale eserciterebbe la sua giurisdizione.

Attività “complementare”

Ancora. L’istituzione di un tribunale speciale non è l’unico mezzo attraverso cui perseguire il crimine di aggressione, perché legittimati a farlo sono anzitutto i tribunali ucraini grazie a una norma del proprio codice penale, l’articolo 437 – rubricato “Pianificazione, preparazione e conduzione di una guerra di aggressione” –, che criminalizza espressamente questa condotta.

E non solo una serie di attività di indagine ad opera delle autorità nazionali competenti sono in corso ma si contano già diverse sentenze di condanna per crimini di guerra; è più che plausibile, dunque, che la stessa potestà punitiva verrà esercitata in futuro anche con riferimento al crimine di aggressione.

Si tratta di una circostanza agevole da spiegare. La giustizia penale internazionale, quale si manifesta anzitutto attraverso l’attività della Corte penale internazionale, ha sempre natura “complementare” rispetto a quella domestica, con la conseguenza che essa interviene solo laddove i tribunali nazionali, ovvero gli stati di cui sono organi, non vogliano o non siano in grado di agire autonomamente.

Ciò è tanto più vero ove si consideri che attività investigative sono state intraprese anche dalle procure di stati terzi al conflitto, ossia non direttamente coinvolti, sulla base del principio per cui un crimine internazionale sarebbe perseguibile indipendentemente dal luogo di commissione (che non deve necessariamente corrispondere al territorio dello stato che indaga) così come dalla nazionalità del sospetto o della vittima (che non devono necessariamente avere la cittadinanza dello stato che indaga) e grazie all’esistenza di una norma incriminatrice in materia di aggressione; tale è il caso, ad esempio, di Polonia, Lituania e Lettonia. In altre parole, un’alternativa alla costituzione di un tribunale speciale esiste ed è concreta.

Modificare lo Statuto

Un’ultima considerazione. L’impossibilità per la Corte penale internazionale di perseguire il crimine di aggressione nel caso di specie dovrebbe portare a una riflessione prospettica, e cioè evidenziare l’esigenza che lo Statuto venga nuovamente rivisto in modo tale da rendere effettiva la giurisdizione della Corte anche rispetto a questo crimine.

L’eventuale creazione di un tribunale speciale restituirebbe invece l’idea che di una modifica del genere non vi sia bisogno e offrirebbe agli stati un argomento efficace per rimanere inerti e prediligere, opportunisticamente, l’istituzione di un tribunale ad hoc ogniqualvolta ve ne sia bisogno; e soprattutto ogniqualvolta la presunta responsabilità per la commissione di quel crimine non sia la propria.

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