Ieri circolava nei social media un’immagine molto forte che descrive perfettamente il gap esistente tra le élite politiche e le comunità. Un uomo russo abbraccia un ucraino, tenendo in mano un cartello con scritto: «Sono russo. Mi dispiace per quello che sta accadendo».

Sarebbe ingeneroso ed errato ritenere che le popolazioni russe e ucraine siano arrivate a odiarsi così tanto. Ci sono legami parentali, professionali, matrimoniali, di amicizia tra queste popolazioni che, in queste ore, stanno soffrendo per i propri cari, per il destino della nazione e increduli che il presidente Vladimir Putin abbia osato sino a questo punto.

E così, ieri pomeriggio, abbiamo assistito alla dimostrazione che anche nella Russia di Putin ci sono migliaia di persone che in tutto il territorio della federazione si sono rivolte contro il Cremlino, urlando ad alta voce “no alla guerra”.

Chi sono queste persone così coraggiose e determinate? È stata la guerra a riaccendere la fiamma dell’attivismo sociale?

Prima di tutto, occorre precisare che anche durante l’era di Putin in diverse parti del territorio, soprattutto quelle settentrionale e orientale, vi sono state numerose reazioni di protesta contro le autorità locali in forma di sit in, scioperi, cortei contro, ad esempio, alcune decisioni delle amministrazioni locali in materia di infrastrutture ad elevato impatto ambientale.

È stata proprio l’associazione Memorial, chiusa nei mesi scorsi dalle autorità giudiziarie, a testimoniare e diffondere l’azione di queste persone e gruppi sociali.

Esiste in Russia un nucleo abbastanza numeroso di persone pronte a reagire contro le misure repressive attuate dal Cremlino.

Non si tratta solamente dei sostenitori dell’oppositore Aleksej Navalny, ma di una componente democratica che dai tempi della Perestrojka ha fortemente sperato in un esito positivo del processo di democratizzazione del paese e che ha, tuttavia, compreso quanto sia difficile smantellare l’apparato e le eredità istituzionali e culturali sovietiche.

Anche le foto di questi giorni dimostrano uno strappo generazionale: giovani che si ribellano, cercano notizie nei social, capiscono che la democrazia o il percorso verso la democrazia può esistere (come in Ucraina), ma si sentono impotenti e non sufficientemente rappresentati da un’opposizione politica extraparlamentare frammentata e poco coesa.

E devono anche subire gli arresti della polizia, i cosiddetti “fermi amministrativi” di 48 ore che costituiscono la risposta immediata a qualsiasi tentativo di reazione della società.

Lo abbiamo visto dopo le contestate elezioni parlamentari del 2011, per esprimere solidarietà nei confronti di Navalny e nelle dimostrazioni pubbliche di ieri.

E poi c’è la maggioranza over 55 di coloro che lavorano nella pubblica amministrazione, nell’esercito, nelle agenzie statali e gran parte dei pensionati che costituiscono lo zoccolo duro del consenso di Putin.

Per quale motivo? Principalmente perché in questi anni il putinismo ha migliorato le condizioni economiche di questi strati sociali.

Si dice che sia giusto intervenire con sanzioni di diverso tipo per mettere in ginocchio l’economia della Russia. Magari, nella speranza che questo induca la gente a reagire contro Putin a tal punto da generare una nuova Perestrojka.

E se non lo fanno, spesso vengono accusati di essere conniventi col putinismo. Sì, certo una parte, forse anche maggioritaria, può esserlo, ma gli altri su chi possono contare all’interno e al di fuori della Russia?

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