Come è potuto accadere che ogni riferimento ad Israele abbia oggi assunto un significato negativo a prescindere dal contesto? Le recenti dimostrazioni di ostracismo nelle università ricordano la follia collettiva che portò a bandire Ciajkovskij e Dostoevskij da teatri e biblioteche a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina.

Dall’altro lato dello schieramento, chi accusa i palestinesi di essere tutti fanatici antisemiti e pericolosi assassini non dimostra certo più buon senso.

Non dovremmo stupircene: l’intera storia dell’umanità è segnata da reciproche calunnie, fin da quando greci e persiani si additavano a vicenda come barbari, attribuendosi l’un l’altro le peggiori nefandezze. Alcune di queste accuse corrispondono al vero, altre sono il risultato manipolatorio della propaganda più scaltra, altre ancora vengono addirittura superate dalla crudeltà effettiva dell’uomo.

Narrativa pervasiva

Non avrebbe senso qui stilarne una graduatoria. Vale la pena riflettere piuttosto su quanto il discorso pubblico ci induca a ragionare nello schema irrigidito di “oppressori” e “oppressi”: i primi sono i carnefici da condannare e punire severamente, i secondi le vittime innocenti e d’animo nobile. Una narrativa sempre più pervasiva, qualunque sia il punto di vista adottato, perché leggere ogni avvenimento attraverso la sola lente morale ci consente di trovare il nostro posto nel mondo.

Cristallizziamo la nostra posizione attraverso una chiara divisione dall’altro. Una cesura così netta che i “cattivi” non appartengono nemmeno alla nostra stessa specie. Ecco che allora il verbo “disumanizzare” è entrato nel nostro vocabolario corrente. La deumanizzazione è in ogni scambio, in ogni scontro. Negli stupri e massacri del 7 ottobre, nelle stragi per il pane sulla spiaggia di Gaza, nell’immagine di Putin che rapisce bambini e che, a sua volta, marchia Ucraina e occidente con l’infamia più disumana che esista: nazisti.

La domanda

Un processo che ci permette di consolidare ogni giudizio fino a trasformarlo in una barriera impenetrabile: “noi", da un lato, il “mostro”, dall’altro… estraniato ed estraniante, circondato da una masnada di sgherri senza volto che si macchiano delle sue medesime colpe. Barriere e narrazioni utili, più che ad allontanare le minacce, a tenerci al sicuro entro i confini delle nostre convinzioni: noi siamo dalla parte dei “buoni”.

Se la distinzione fosse più sfumata e il giudizio un po’ meno che assoluto, potrebbe insinuarsi un dubbio osceno: e se avessimo anche noi un ruolo in quel male?

È una domanda che non possiamo permetterci: le nostre lotte hanno bisogno di identificare un nemico che non fa prigionieri. D’altro canto, la ragione ci imporrebbe di confrontarci con una realtà ben più articolata, domandandoci, ad esempio, cosa abbia spinto il nostro avversario ad agire come ha fatto.

Ma è una scelta pericolosa: è difficile fermarsi per tempo, prima di trasformare il “capire” in un “giustificare”. Allora, anche di fronte al nemico peggiore, il quesito da porsi non è più «cosa avrei fatto se fossi stato al suo posto», ma «cosa avrei fatto se fossi nato al suo posto». Con la sua identità, la sua educazione, le sue memorie e i suoi mali ancestrali… Ma è davvero legittimo chiederselo?

Primo Levi pensava che forse non dobbiamo comprendere i campi di concentramento: significherebbe in qualche modo giustificare quel male così atroce. È stato il filosofo Cvetan Todorov a spiegare che quella risposta non vale per tutti. Alle vittime del male non si può chiedere di capire. Esse non portano avanti alcuna narrazione: ne sono parte integrante.

Per tutti noi altri è diverso. Ci spetta il delicato compito di camminare sul filo sottile della comprensione: sospesi nel vuoto, consapevoli di poter precipitare in ogni momento nella brutale demonizzazione o nell’intollerabile giustificazione.

Una via stretta che porta a confrontarsi con la realtà senza semplificazioni, sapendo che svelarla pienamente è impossibile… ma che anche soltanto riuscire a intravederla sarà sempre meglio che condannare senza appello l’altra metà dell’umanità.

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