Il 25 giugno ad Haiti è stata uccisa la piccola sorella del Vangelo, suor Luisa Dell’Orto. Il 20 giugno vengono trucidati a Urique (Sierra de Chihuahua - Messico) due gesuiti. Il 5 giugno in una chiesa di Owo (Ondo, in Nigeria) si registra un massacro di 40 persone con decine di feriti.

Sempre in Nigeria il 25 e 26 giugno, sono uccisi due preti e, poche settimana prima, un terzo ha perso la vita durante un sequestro.

Una manciata di giorni, decine di vittime e una condizione comune: la testimonianza al Vangelo. È solo un frammento, il più recente, di un fenomeno di ampie dimensioni, eppure scarsamente compreso e comunicato, cioè le nuove persecuzioni anticristiane.

L’allarme dei  Rapporti

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In questi prima vent’anni del secolo si registrano mutamenti e migrazioni significative del senso delle persecuzioni. Nella nostra cultura mediale si resiste all’idea che il cristianesimo sia la religione attualmente più perseguitata, anche per la difficoltà di leggere il complesso sovrapporsi di tensioni etniche, fondamentaliste, nazionaliste, religioni di maggioranza e minoranze, in contesti culturali e geografici assai diversi. In parte anche per un pregiudizio laicista.

I rapporti e studi di ricerca di governi e partiti, di organismi internazionali, di centri indipendenti, di istituzioni confessionali e inter-confessionali convergono nella constatazione della crescita del problema. Si parla oggi di oltre 360 milioni di credenti esposti alla persecuzione.

Il fenomeno interessa una buona parte dell’Asia, attraversa il Medio Oriente, entra (per la prima volta) nelle aree dell’Africa sub-sahariana, e si allarga a una buona parte dei paesi dell’America del Sud e del Centro.

Le persecuzioni riguardano tutte le confessioni cristiane (cattolici, ortodossi, protestanti sia delle Chiese tradizionali che nuove) e, più in generale, colpiscono tutte le minoranze religiose e civili.

La crisi e la restrizione della pratica democratica e dei suoi principi liberali lasciano spazio a leggi, prassi e giustificazioni che colpiscono la libertà religiosa e le pratiche di fede.

La forma della persecuzione può essere violenta e devastante (“a martello”) o piuttosto “a pressione”, con un progressivo restringimento delle libertà. Tre i motori più attivi: il tribalismo esclusivo, il laicismo estremo, i poteri abusivi e malavitosi.

Gli attori maggiori delle persecuzioni nei due decenni scorsi sono il fondamentalismo islamico, l’islamismo statuale, il radicalismo religioso di tipo nazionalista, l’assenza dell’autorità dello stato con la criminalità organizzata e il narcotraffico, la tradizione antireligiosa dell’ideologia comunista.

Fondamentalismo islamico

Gli omicidi ricordati all’inizio dell’articolo illustrano due degli attori ricordati: il fondamentalismo islamico e l’assenza di autorità statuale.

Nel Rapporto per il 2022 di Open Doors International sui 5.898 morti addebitabili ad azioni anti-cristiane l’88 per cento avviene in Africa e in Nigeria, da sola, il 76 per cento. Nel paese la tradizionale convivenza di popolazione di pastori del Nord (generalmente musulmani) e quelle agricole del sud (musulmani e cristiani) si è deteriorata per l’azione di gruppi fondamentalisti islamici (Boko Haram, stato islamico e altri gruppi armati).

Organizzati in bande di predoni affrontano le popolazioni stanziali con stragi, intimidazioni e sequestri che costringono a lasciare il territorio alla ricerca di luoghi più sicuri. Il fondamentalismo, coltivato economicamente dai paesi del Golfo e militarmente dalle spore del Califfato, ha preso in ostaggio un paese di oltre cento milioni di abitanti. Così come sta condizionando tutta la fascia dei paesi sub-sahariani.

Anarchia

Il caso dei due gesuiti uccisi in Messico è invece addebitabile alla assenza dell’autorità dello stato oltre che dalla ferocia delle bande del narcotraffico. La colpa dei due religosi è di non aver consegnato un parrocchiano ai delinquenti. Nel 2021 sono stati registrati a livello nazionale 33.308 omicidi. L’uccisione dei preti e del personale religioso si colloca in questo dramma.

La figura del religioso è spesso uno dei pochi riferimenti locali autorevoli. Ucciderlo significa togliere di mezzo un testimone scomodo, imporre il terrore e la cultura del silenzio.

La tiepida reazione delle istituzioni nazionali è una firma sotto la loro impotenza. È facile trovare altri esempi paralleli in America Latina (come la Bolivia e, per certi tratti, il Venezuela) e in Africa (Somalia).

Ideologia

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Il caso più evidente di persecuzione ideologica è la Corea del Nord. È da decenni al vertice delle liste dei paesi più pericolosi per i credenti, ma le informazioni sono scarsissime per la chiusura ermetica di quello stato.

Da quando si è installato il regime comunista nel 1948 le persecuzioni non si sono mai interrotte. Quando i cristiani vengono riconosciuti, anche solo per il possesso di una Bibbia, vengono catturati e inviati nei campi di lavoro dei prigionieri politici.

I detenuti sarebbero da 50.000 a 70.000. il 75 per cento muore per le violenze e le torture che i pochi fuggitivi (in Corea del Sud e in Cina) raccontano. Diverso il caso della Cina dove Xi Jinping persegue la “sinizzazione” delle fedi.

Poche le uccisioni, misurate le violenze (soprattutto amministrative), ma un progressivo controllo e disciplinamento la cui formulazione più raffinata è l’estensione del riconoscimento facciale (per tutti i partecipanti al culto) e il sistema di credito sociale che attribuisce alle fedi un valore negativo e penalizza i singoli in tutte le scelte di vita.

Islamismo statuale

Un segnale di cosa significhi l’islamismo statuale è la diffusione delle leggi nazionali sulla blasfemia. Per non essere esposti alle critiche del populismo fondamentalista molti stati islamici rafforzano le istanze di difesa della religione di stato.

Sono un’ottantina i paesi che hanno adottato una legge punitiva per quanti mancano di rispetto alla religione prevalente e quasi un centinaio  i paesi che puniscono il “proselitismo” o annuncio. Come annota un rapporto del governo tedesco del 2021 le leggi sulla blasfemia discriminano le minoranze religiose, limitano la libertà di espressione e puniscono la conversione ad altre fedi.

Il peso persecutorio del radicalismo religioso è registrabile nella svolta filo-induista del governo indiano di Modi e il quello filo-buddista dell’esercito di Myanmar (peraltro contestato da numerosi monaci). In India gli episodi di violenza anticristiana registrati nel 2019 sono 447.

Più di 100 chiese sono state chiuse e nei confronti della violenza induista e nazionalista si può parlare di impunità. In questa modalità si colloca anche la denuncia verso l’Ortodossia russa, privilegiata a tal punto dallo stato, da confinare nella marginalità le altre fedi, se non allo sradicamento (come nel caso dei Testimoni di Geova).

Drammi antichi e immagini nuove

Rispetto alle persecuzioni del Novecento imputabili in prevalenza al laicismo (in Messico) e soprattutto al totalitarismo di stato (nazismo e comunismo) con un’appendice alla responsabilità della destra cristiana nel caso dei golpe militari della seconda metà del Novecento in America Latina, la forma contemporanea delle persecuzioni ha cambiato pelle e colori.

In parte perché il cristianesimo è la religione più diffusa e si è sviluppato negli ultimi decenni soprattutto nel Sud del mondo, restringendosi in Occidente.

In parte, perché questo ha significato essere minoranza all’interno dei singoli paesi e nazioni. Ma anche per il fenomeno della de-territorializzazione (non esistono più le “nazioni cristiane”) e il venir meno della “tutela” politica dell’Occidente.

Inoltre il marchio della persecuzione colpisce spesso le minoranze in generale e la qualifica religiosa è un elemento di ulteriore aggravio, ma non sempre evidente.

L’insufficiente percezione occidentale del fenomeno è determinato dalla marginalità economica e politica di questi eventi, rilevati solo quando determinano l’azione pubblica, come nel caso del fondamentalismo islamico o dell’attuale ruolo dell’Ortodossia nell’aggressione militare della Russia all’Ucraina.

Più in generale, il principio della fondamentale libertà religiosa è progressivamente assorbito nei “diritti personali”, ignorando la dimensione fondante delle fedi.

Si può anche aggiungere il ruolo talora conservatore e passatista delle Chiese e l’evidente ambiguità di alcuni dei difensori politici, sia nazionali che internazionali del cristianesimo. Forse non mancano neppure il pregiudizio e la pigrizia. Le lacrime di molti restano invisibili. 

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