Riaffiora nei programmi elettorali l’autonomia differenziata. Un ampio dibattito ha ormai evidenziato il rischio di un aumento esponenziale delle diseguaglianze e dei divari sociali e territoriali, e di una frantumazione sostanziale del paese (su queste pagine, Pisauro e Merloni). A tale rischio sono state fin qui date sostanzialmente due risposte: una legge-quadro e i livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Risposte deboli.

L’autonomia differenziata viene concessa, su iniziativa della regione, con legge statale adottata a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa. È una legge fondata su un principio pattizio e “rinforzata”, perché approvata con un procedimento speciale. La legge-quadro, già proposta dal ministro Francesco Boccia e poi ripresa dalla ministra Mariastella Gelmini, è una legge statale ordinaria volta a disciplinare la stipula dell’intesa tra regione e governo. L’intesa stipulata sarà poi presentata alle camere con un disegno di legge governativo per l’approvazione a maggioranza assoluta. Il parlamento potrà solo approvare o rigettare. Una mera ratifica.

Vince l’intesa con la regione

LaPresse

Quali i punti problematici? La legge-quadro (ordinaria) non può vincolare la legge (rinforzata) che approva l’intesa. Ad esempio, se la legge-quadro disponesse che la scuola non deve essere regionalizzata, la legge approvativa dell’intesa potrebbe disattendere il divieto. O, ancora, una distribuzione territoriale correttamente equilibrata delle risorse pubbliche disegnata dalla legge quadro potrebbe essere modificata a vantaggio di una o più regioni dalle intese. Per contro, un indebito privilegio sulle risorse concesso da una intesa richiederebbe per essere corretto il consenso della regione per la modifica dell’accordo originario.

L’autonomia differenziata è riferita alle materie di potestà legislativa concorrente tra stato e regioni e ad alcune di potestà statale esclusiva. Il rischio di frantumare il paese in repubblichette semi-indipendenti è reale. E può essere aggravato dalla prospettiva che l’idem sentire di una o più regioni col governo nazionale o parte di esso possa mettere la richiesta di autonomia su un binario privilegiato e garantito, eventualmente anche da una questione di fiducia. Non è un caso che nelle sue recenti esternazioni Luca Zaia – presidente del Veneto che chiede tutta l’autonomia senza se e senza ma - abbia dichiarato che l’unica ragione di entrare nel prossimo governo è l’autonomia.

Perché i Lep non bastano

Possiamo trovare una risposta nell’articolo 117.2 della Costituzione, per cui lo stato ha potestà legislativa esclusiva nel determinare i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) per i diritti civili e sociali, da garantire su tutto il territorio nazionale? No, per tre motivi.

Il primo. I Lep sono una garanzia solo relativa di eguaglianza. Sono un’asticella al di sotto della quale è prescritta l’eguaglianza (l’essenziale) mentre al di sopra è consentita una diseguaglianza (il non essenziale). La maggioranza del momento decide dove collocare l’asticella. Il secondo. L’eguaglianza costa, e c’è un problema di bilancio. I Lep possono efficacemente contrastare le diseguaglianze solo in caso di crescita sostenuta e duratura, che consenta risorse pubbliche da destinare al recupero dei divari in tempi non biblici. Un futuro prevedibile? Il terzo. I Lep non impedirebbero comunque la frantumazione del paese in tante repubblichette. Lo prova la sanità, dove i Lea (Livelli essenziali di assistenza) concettualmente analoghi ai Lep, non hanno impedito il sostanziale dissolvimento del sistema sanitario nazionale. Lo stesso potrebbe accadere per la scuola, e per ogni altra materia riferibile all’autonomia. L’insufficienza delle risposte date si spiega considerando che i rischi per l’eguaglianza e l’unità del paese vengono in realtà da errori di impianto del Titolo V della Costituzione riformato nel 2001. Non è un caso che il lombardo Attilio Fontana, insistendo per la regionalizzazione della scuola, argomenti che se non viene concessa l’autonomia differenziata la regione procederà con la potestà di cui comunque dispone (ex art. 117.3). Per questo ho, con un gruppo di colleghi costituzionalisti, elaborato una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare che ha poi trovato l’adesione di molte autorevoli firme.

Le correzioni da fare

Lapresse

È volta a una riscrittura mirata degli articoli 116.3 e 117 della Costituzione che, senza cancellare l’autonomia, ne elimina i profili di pericolosità. Si articola su quattro punti.

Il primo, espungere dall’articolo 116.3 il principio pattizio, che porta l’autonomia in una trattativa in stile privatistico tra governo e singola regione, riducendo il parlamento a un ruolo di mera ratifica. Inoltre, collegare l’autonomia a specificità della regione richiedente, e introdurre per la legge di approvazione momenti di (eventuale) verifica referendaria.

Il secondo. All’articolo 117 della Carta bisogna spostare dalla potestà concorrente a quella esclusiva statale le materie ritenute strategiche per l’unità del paese, dall’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e universitarie, alla salute e al sistema sanitario nazionale, a porti, aeroporti, autostrade, ferrovie, reti di comunicazione e altro

Il terzo. Modificare i livelli “essenziali” in livelli “uniformi” delle prestazioni. Il quarto. Introdurre una clausola di supremazia della legge statale costruita sull’unità giuridica ed economica della Repubblica. È una supremacy clause tipica degli stati federali, come gli Stati Uniti, o la Repubblica federale tedesca.

Dall’inizio di settembre raccoglieremo le 50mila firme richieste per la presentazione alle camere. La proposta di legge di iniziativa popolare ha ora, per una recente modifica del regolamento del Senato, una significativa possibilità di giungere a un dibattito di aula. Questo potrebbe finalmente alzare la coltre di silenzio che le forze politiche hanno - per dolo o colpa - steso sul tema dell’autonomia differenziata. Potrebbe suggerire che all’autonomia si arrivi solo dopo aver corretto il Titolo V. E forse contribuirebbe anche a evitare che una maggioranza in affanno per le prevedibili emergenze strumentalizzi le riforme istituzionali per tenere la testa fuori dell’acqua e segnalare così la propria esistenza in vita.

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