Le api degli Stati Uniti stanno bene, e questa è un’ottima notizia. Secondo il censimento del dipartimento dell’Agricoltura, la popolazione è cresciuta del 31 per cento dal 2007: parliamo delle api mellifere, o api occidentali, quelle allevate su larga scala per l’impollinazione e per produrre miele e cera.

Sul Corriere della Sera, Federico Rampini ha ripreso la notizia in un editoriale nel quale ha scritto: «Gioite, esultate, le api sono tornate».

Olé, ci accodiamo, ci mancherebbe. Secondo Rampini il ritorno delle api ci direbbe qualcosa anche sulla nostra incapacità di processare le buone notizie sull’ambiente: forse dobbiamo riconsiderare le teorie sulla sesta estinzione e la nostra percezione di un’apocalisse imminente. Bene. Parliamone.

Il milione di colonie di api aggiunto dal 2007 ci dice che siamo stati troppo inclini al pessimismo? Forse solo alla semplificazione, da un lato e dall’altro di questa storia. Un’altra frase di Rampini è una spia interessante di quanto possa essere facile strumentalizzare questa faccenda delle api, usarla come ansiolitico ecologico o una leva per difendere lo status quo. È un glitch, un’omissione, ma è un’omissione istruttiva del nostro rapporto cognitivo con la biodiversità.

La frase: «Le api risultano essere la specie animale in più forte aumento sul territorio degli Stati Uniti». In realtà le api sono la specie animale allevata in più forte aumento negli Stati Uniti, in una classifica che comprende solo altro bestiame e non tutta la fauna selvatica del paese.

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Questi dati sulle api vengono dal dipartimento dell’Agricoltura. È in effetti una buona notizia, perché nel 2006 c’era stato un collasso degli alveari, ma è una buona notizia agricola, sulla resilienza dei sistemi agro-alimentari degli Stati Uniti, molto più che ambientale.

La sesta estinzione di massa purtroppo è ancora tutta lì. Dire che le api mellifere sono tornate, quindi andiamoci piano a parlare di collasso della biodiversità, è come dire che gli uccelli stanno bene perché, sempre nello stesso censimento agricolo americano, leggiamo che negli Stati Uniti si allevano oltre due miliardi di polli e che la loro popolazione è cresciuta dell’11 per cento dal 2007.

In realtà, secondo “Lo stato degli uccelli nel mondo”, la metà delle oltre 10mila specie di uccelli selvatici nel mondo è in declino, una su otto è a rischio di estinzione, il problema peggiorato da decenni. Allo stesso modo, il mondo ha perso tra il 5 e il 10 per cento delle specie di insetti (tra 250mila e 500mila specie), secondo uno studio uscito su Biological Conservation. Gli stessi impollinatori (che non comprendono solo le api) calano tra 1 e 2 per cento ogni anno.

Per quanto riguarda le api, ci sono ulteriori letture, e ci portano sempre al fatto che questa è una buona storia di economia, non di ambiente. Axios sottolinea come il censimento agricolo sulle api abbia una soglia di accesso fissa: vengono presi in considerazione alveari che ricavano più di mille dollari l’anno dalla produzione.

Con il lancio, potrebbero aver superato questa soglia anche diversi hobbisti, gonfiando il numero. Inoltre, secondo il Washington Post c’è stato un boom in uno specifico stato, il Texas, che è passato da essere il sesto per numero di api a essere non solo il primo, ma a produrne più di tutti gli ultimi ventuno in fondo alla classifica messi insieme.

Questa esplosione deriva da una politica aggressiva e ben strutturata di incentivi.

Infine, i mandorli. Sono una coltivazione raddoppiata dal 2007, lo stesso anno di riferimento per il boom della popolazione di api. I quattro quinti di tutti i fondi spesi negli Usa per la fertilità delle api vanno nell’impollinazione dei mandorli.

Sono tutti spunti per avere una conversazione sulla capacità di ripresa e tenuta dell’agricoltura degli Stati Uniti, non sulla biodiversità globale o sull’ecoansia. La complessità del nostro rapporto con le api ci dice però qualcosa anche sulla comunicazione ambientalista degli ultimi decenni, sulla sua ricerca costante di simboli e animali carismatici su cui costruire campagne e raccolte fondi. Simbologie che rischiano di essere facilmente strumentalizzate.

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