Le foreste del Borneo sono pattugliate da un reggimento che non imbraccia armi, ma pompe idriche, e che è composto unicamente da donne. Si tratta del Power of Mama, l’unità antincendio che dal 2022 è attiva a Ketapang, nel Kalimantan occidentale indonesiano.

Insieme a una novantina di compagne, di età compresa tra i 19 e i 60 anni, la coordinatrice del collettivo Siti Nuraini presidia il territorio per preservare l’ambiente e proteggere salute e mezzi di sussistenza delle comunità locali.

«Ogni anno subivamo incendi», ha raccontato Nuraini alla Bbc, «il fumo diventava così forte che i residenti erano costretti a evacuare e le scuole dovevano chiudere. Molti bambini soffrivano di infezioni respiratorie».

L’Indonesian nature rehabilitation initiation, affiliato alla no-profit Animal Rescue, ha creato questo collettivo di pompiere forestali per rendere le donne agenti attivi del cambiamento e per combattere attivamente gli incendi che mettono a rischio la fauna selvatica, la vita delle persone e la biodiversità.

Taglia e brucia

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Il villaggio di Nuraini si trova affianco alla foresta pluviale, uno dei polmoni verdi del Sudest asiatico. L’estesa presenza di torbiere la rende un importante serbatoio di carbonio: questi habitat, infatti, immagazzinano il doppio del carbonio di tutte le foreste del mondo.

Ma il loro lavoro benefico è sempre più minacciato dalla deforestazione selvaggia praticata dalle coltivazioni intensive, che danno fuoco a porzioni di foresta per ampliare gli appezzamenti di terreno coltivabili. L’Indonesia è particolarmente suscettibile agli incendi, ma la colpa non è del caldo, né del cambiamento climatico (che comunque fa il suo). Bensì di scelte politiche che hanno messo al primo posto la crescita economica, e solo in un secondo piano il benessere degli ecosistemi naturali e sociali.

L’Indonesia è la maggior produttrice di olio di palma al mondo. Insieme alla Malesia, è la fondatrice del Council of palm oil producing countries, l’organizzazione intergovernativa che rappresenta le priorità, gli interessi e le aspirazioni delle nazioni produttrici di olio di palma del mondo cosiddetto in via di sviluppo.

Include, infatti, anche l’Honduras e tre osservatori: Papua Nuova Guinea, Colombia, e Ghana. «L’olio di palma viene prodotto in modo sostenibile», si legge sul sito ufficiale del Consiglio, «in particolare migliorando la produzione senza aprire nuovi terreni per la coltivazione della palma da olio».

Ma nel 2023 l’industria dell’olio di palma ha continuato a disboscare l’Indonesia attraverso la pratica agricola dello slash-and-burn (“taglia e brucia”). Si parla di quasi un milione di ettari di foresta che sono letteralmente andati in fumo, perché per fare spazio alle coltivazioni di olio di palma gli agricoltori producono roghi che causano ingenti emissioni di carbonio e aggravando il problema della foschia transfrontaliera che riguarda tutta l’isola.

Questo ha reso i terreni indonesiani aridi, e le lunghe distese di torbiere secche e suscettibili agli incendi.

La deforestazione

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È così che anche fenomeni naturali come El Niño, che contribuisce a creare sull’isola un clima molto torrido, risultano particolarmente inclementi coi boschi del Borneo.

Secondo il ministero dell’Ambiente e delle Foreste, più di 994mila ettari (15 volte Giacarta) sono bruciati da gennaio a ottobre 2023. Secondo un’analisi di TheTreeMap, le piantagioni industriali sono cresciute di 116mila ettari nel 2023, con un aumento del 54 per cento rispetto all’anno precedente.

La deforestazione associata è aumentata del 36 per cento, con 30mila ettari di foresta convertiti nel 2023 rispetto ai 22mila ettari del 2022. Il movimento Power of Mama, oltre a proteggere le comunità locali, incoraggia a bruciare i terreni usando la gestione indigena dei fuochi, che promuove la diversità ecologica e protegge le comunità dai rischi di incendi incontrollati.

Il ruolo delle donne

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La progressiva infertilità dei campi impatta in modo significativo sulle donne indonesiane. Secondo l’Organizzazione internazionale del Lavoro, meno di un terzo dei lavoratori dell’olio di palma sono donne. I dati, però non tengono conto del lavoro informale, come quello svolto dalle donne nei campi curati dai loro mariti.

La sfida, per loro, è quella di riuscire a conciliare il peso del lavoro domestico con la necessità di portare avanti l’attività familiare nelle coltivazioni. Ma le cose stanno cambiando, anche grazie a iniziative come il Musim Mas’ Women Smallholders Programme, che ha formato circa 500 donne nella regione di Riau, a Sumatra. Nato nel dicembre 2023, il gruppo serve a fornire assistenza sanitaria e aiutare le donne impiegate in questo genere di lavori a mantenere uno stile di vita sano.

Inoltre, secondo il rapporto Onu Rural women and girls 25 years after Beijing, a livello globale si è assistito a una progressiva “femminilizzazione” del lavoro agricolo nelle aree rurali.

Ciò è dovuto anche al fenomeno dell’urbanizzazione, dettato dalle nuove opportunità di lavoro offerte dallo sviluppo industriale, che nel Sudest asiatico – considerato in buona parte composto da economie “emergenti” – in alcuni casi è ancora in corso.

Sono molti gli uomini che si sono spostati per cercare impiego in città, anche se restano la percentuale più alta dei proprietari terrieri nella campagna.

Anche per questo, le donne indonesiane devono caricarsi, oltre del lavoro domestico, anche delle attività di sostentamento della loro famiglia e della comunità in cui vivono. Subiscono così, molto più spesso e in modo più sproporzionato, anche le conseguenze più inclementi del cambiamento climatico che si abbatte sui campi.

L’autodeterminazione

Il lavoro del Power of mama mira a ispirare le donne locali a svolgere un ruolo attivo nella protezione delle foreste, per garantire la sopravvivenza delle comunità e della fauna locale, come gli orangotango.

Le Mamas battono quattro aree boschive: Pematang, Dagung, Sungai Besar, Sungai Awan Kiri e Sukamaju. Evitare che le foreste e le torbiere, un tempo umide e ricche di carbonio, siano prosciugate dall’agricoltura industriale è importante per ragioni che intersecano giustizia sociale, giustizia di genere e ambientalismo.

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Nuraini si alza presto tutte le mattine, esce indossando un hijab marrone con su scritto “the power of mama” e scarponi di gomma al ginocchio. «Ci deridevano perché indossavamo le uniformi e ci univamo alle pattuglie di controllo», ha raccontato, «gli uomini del villaggio ci prendevano in giro e dicevano cose come: “Donne che pattugliano? Davvero?”».

Laili Khairnur, ambientalista e attivista per i diritti delle donne, ha raccontato che soprattutto nelle aree rurali le donne sono attori chiave dei programmi che coinvolgono le comunità. «Questo perché le donne sono le prime beneficiarie», ha detto alla Bbc, «il senso di appartenenza a un programma è la base del loro coinvolgimento».

In altre parole, partecipare a iniziative collettive come il Power of Mama consente loro di aiutare la propria comunità, di autodeterminarsi, e quindi di aiutare sé stesse.

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