Ogni tanto si sfogava con il primo carabiniere che aveva a tiro: «Ma ancora continuate a prendervela con noi? Non vi basta quello che ci avete fatto?». Nonostante i colpi subiti, è stata fedele. Ha sopportato tutto, anche l’arresto del figlio. E teneva il conto di ogni cosa, in particolare dei soldi. È Rosalia, la sorella di Matteo Messina Denaro, nonché una sorta di segretaria, contabile, consulente.

Prende nota delle decine di migliaia di euro spesi ogni mese in contanti. Quando l’arrestano ha duecentomila euro, che avrebbe dovuto recapitare al fratello. Anche in questo caso, non siamo affatto di fronte a un’insospettabile, tutt’altro. Non pochi investigatori la ritengono la vera capomafia. Rosalia è moglie di Filippo Guttadauro, ed è l’unico gancio rimasto al boss dopo l’arresto della terza sorella, Patrizia, la grande. Ma come restavano in contatto? Rosalia era monitorata dalle microspie.

Inoltre – secondo il racconto dei vertici dell’Arma – sarà da un appunto ritrovato in maniera fortuita a casa sua che prenderà il via l’operazione che porterà all’arresto del boss. Sì, ma allora come parlavano fratello e sorella? Ricorrevano alle care vecchie Poste Italiane. Ancora una volta, tutto alla luce del sole. Giancarlo Buggea, imprenditore arrestato nel 2021 con l’accusa di essere il capomafia di Canicattì, in provincia di Agrigento, ha rivelato il meccanismo. Di Canicattì è Luca Bellomo, nipote acquisito di Messina Denaro, condannato per mafia. Bellomo ha sposato Lorenza Guttadauro, la figlia di Rosalia, che poi il boss sceglierà come suo avvocato. E insomma, grazie alle dichiarazioni di Buggea, la polizia tra il 2021 e il 2022 intercetta cinque buste, il cui mittente era un mafioso di Santa Ninfa e destinataria era la nipote. In una busta erano contenute due lettere: una per Bice e Giovanna, e una per «Fragolone», il nome in codice di Rosalia. Gli investigatori le controllano nell’ufficio smistamento delle Poste, per poi chiuderle.

Quindi, mettiamo ordine su alcuni punti fermi: Rosalia Messina Denaro era non intercettata, ma intercettatissima. Il fratello le scriveva delle lettere, che arrivavano grazie a degli intermediari e alle Poste. La polizia aveva intercettato queste lettere. E sapeva. Sapeva non solo del contatto tra i due ma anche delle preziose informazioni contenute nelle lettere. Ad esempio, in una lettera del maggio 2022 Matteo scrive: «Purtroppo è andato tutto a scatafascio. La ferrovia non è praticabile, è piena, quindi capirai che non si può. Al momento non so cosa dirti».

La «ferrovia» è la linea ferrata vicino alla casa di campagna di Rosalia. Probabilmente gli incontri tra i due fratelli avvenivano lì. Qualcuno però aveva avvertito Messina Denaro della presenza di telecamere lungo la strada di campagna dove avrebbe dovuto incontrare la sorella.

Nell’abitazione di Rosalia vengono trovati altre lettere e appunti, e tanti rendiconti anche nella casa di campagna di Contrada Strasatto, tra Campobello e Castelvetrano. Quindi la polizia sapeva di Rosalia, monitorava la corrispondenza, aveva installato videocamere vicino alle buche delle lettere e sorvegliava Rosalia anche nella casa di campagna, dove erano state sistemate due telecamere.

Dai pizzini rinvenuti è emerso inoltre che il boss latitante era a conoscenza di essere intercettato a tal punto da istruire la sorella – sempre tramite i pizzini – su come individuare e distruggere eventuali telecamere di sorveglianza piazzate dagli inquirenti.

Il tutto, scrive il giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza di arresto di Rosalia Messina Denaro, con un evidente «tecnicismo lessicale» che fa senza dubbio ipotizzare «il potenziale coinvolgimento di appartenenti alle forze dell’ordine o di specialisti forniti di uno specifico know-how nel settore, unici in possesso di tali preziose informazioni».

Le spiegazioni sulle telecamere «erano state veicolate a “Rosetta” dallo stesso latitante, il quale evidentemente, venutone in possesso attraverso canali tutti da investigare, si era premurato di “girarle” alla sorella, per fare in modo che ella, al pari degli altri appartenenti a Cosa nostra, adottasse ogni precauzione possibile per non essere scoperta». Secondo gli inquirenti, dunque, è possibile che il boss avesse degli infiltrati che gli fornivano informazioni su cimici e microspie (...) Che fatica. Eppure ha funzionato.

Per trent’anni. Fino all’errore di Rosalia. Perché è vero che è la malattia a rendere vulnerabile il nostro, ma è anche vero che il danno vero glielo fa Rosalia, che non rispetta più le severe indicazioni del boss: «Leggi e distruggi tutto». Come faceva la sorella Patrizia, che distruggeva tutti i pizzini del fratello. Rosalia, chissà perché, a un certo punto non distrugge più nulla. Conserva. Forse è la difficoltà di tenere a mente la gestione della latitanza, tra soldi, nomi falsi, appuntamenti clandestini, segnali. Forse è l’età.

Fatto sta che Rosalia non cancella, anzi, copia diligentemente tutto. Riempie quaderni e agendine che deve nascondere, ma a casa sua i posti sicuri sono pochi, e allora va in Contrada Strasatto, a Campobello di Mazara. Altro errore fatale. Sta servendo gli indizi agli investigatori su un piatto d’argento.

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