Si sa che il governatore di Bankitalia, Vincenzo Visco, è uno studioso della materia economica, abituato ad approfondire qualsiasi tema con grande rigore, attingendo alle fonti più qualificate. In Bankitalia dispone di un ufficio studi da sempre autore di analisi di alto spessore. Poi ci sono gli studi di Prometeia o quelli del Fondo Monetario Internazionale. Quindi, le sue uscite pubbliche devono essere seguite dal mondo politico ed economico con molta attenzione. Nelle sue ultime Considerazioni Finali del 31 maggio, Visco ha toccato alcuni temi che sono oggetto delle decisioni di governo, esprimendo con chiarezza il suo pensiero.

Salario minimo e lavoro

Visco sostiene con decisione la necessità di un salario minimo. Secondo i dati Inps, nel 2021 i lavoratori privati coperti da un contatto nazionale di lavoro erano 12.200.000. Quelli senza contratto nazionale erano 772.000, ai quali vanno aggiunti gli operatori dell’agricoltura e quelli domestici per un totale di 2.441.000 lavoratori per i quali sarebbe necessario fissare un salario minimo. Il 24 aprile a Firenze vi è stato uno sciopero delle guardie giurate e degli addetti alla sicurezza il cui contratto di lavoro è scaduto da otto anni, contratto che prevede un salario minimo orario di 4,77 euro. Una vera elemosina.

In Germania il salario minimo è di 12 euro. Per questo Visco ha detto che il salario minimo risponde a un’esigenza di giustizia sociale e che, se ben studiato, può offrire molti vantaggi. Soprattuttio può evitare situazioni di quasi-schiavitù, come avviene nelle campagne pugliesi. Un fenomeno, quello del lavoro sottopagato, che va pressoché di pari passo con quello della denatalità, perché impedisce la formazione delle famiglie e l’aumento delle nascite per mancanza di mezzi sufficienti. Tra l’altro, anche Confindustria è favorevole al salario minimo.

Pochi giorni fa, invece, la presidente Meloni ha dichiarato che il salario minimo non serve perché il governo continuerà a ridurre il cuneo fiscale. Ma tutti sanno che il cuneo fiscale agisce soprattutto a favore dei salari più alti e non risolve il problema del salario minimo. Sul lavoro Visco ha ricordato che serve l’allungamento dell’età lavorativa e più immigrazione per compensare il calo della popolazione che sarà di 2,5 milioni al 2040. Ma anche su questo il governo pensa piuttosto alla diminuzione dell’età pensionabile e a una decisa lotta all’immigrazione.

Riforma fiscale

Visco ha poi fortemente criticato il progetto di riforma fiscale. Riducendo gli oneri a carico delle imprese più piccole si favorisce lo sviluppo di imprese sempre più piccole quando il nostro paese soffre di una eccessiva presenza di piccole imprese rispetto a Francia e Germania, imprese che non contribuiscono alla crescita del paese. Questo fenomeno aumenta anche l’evasione fiscale per mantenere l’accesso alle agevolazioni.

Per tutta risposta a questo problema evocato dal Governatore il governo conferma l’intenzione di arrivare alla tassa piatta del 15 per cento per tutti entro la legislatura. Anche sulla necessità di combattere l’evasione fiscale il governo prevede molteplici agevolazioni agli evasori, fino ad arrivare alla cancellazione delle cartellle, introducendo inoltre il condono fiscale che negli anni sessanta e settanta del secolo scorso fu una consistente fonte di reddito per i commercialisti. Infatti, un grande sostenitore del concordato è il vice ministro dell’economia, Maurizio Leo, che è un commercialista.

Pnrr

Sul Pnrr Visco ha detto che non c’è tempo da perdere perché si tratta di uno snodo cruciale per la nostra economia. In questo caso il governo sta seguendo il suggerimento di Visco, ma con un sistema poco ortodosso: con un decreto sta cercando di togliere il potere di controllo della Corte dei conti.

Un comune cittadino che abbia letto o ascoltato le considerazioni finali di Visco si chiede allora: ma perché il governo viaggia su una linea opposta a quella indicata da una persona di alta cultura ed esperienza che ha svolto un ruolo cruciale a difesa del sistema bancaria e dell’economia italiana in genere? La risposta non è facile. Probabilmente giocano due fattori. Un primo fattore è la cultura e la formazione professionale.

Troppo spesso la classe politica, non solo di destra, ha mostrato seri gap culturali, sia sulle teorie politiche che sulla cultura generale. Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito troppe volte alla scena di un politico che di fronte all’affermazione di un noto scienziato su materie di sua competenza diceva “questo lo dice lei”.

Non esistono più le scuole di formazione dei politici. Ora abbiamo solo politici improvvisati che passano a volte dalla posizione di impiegato o infermiere a quella di ministro. La conseguente azione di governo risernte ovviamente di questa impreparazione.

Il secondo elemento è purtroppo la prevalenza nell’azione di governo o del singolo politico di decisioni che raccolgono voti prescindendo dal bene comune che dovrebbe essere la bussola di ogni membro del parlamento o del governo. Purtroppo bisogna forse concludere che è la modesta cultura dell’elettore che permette una classe di governo inadeguata come quella oggi in carica.

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