La performance di Nvidia, società leader nei processori per l’intelligenza artificiale (Ia), cresciuta in un anno del 243 per cento, arrivando a capitalizzare 2mila miliardi, ha attirato l’attenzione sul fenomeno dei Magnifici 7: le sette grandi società americane del settore tecnologico (Apple, Microsoft, Google, Amazon, Nvidia, Tesla e Meta, la ex-Facebook) che assieme valgono 13.400 miliardi, all’incirca quanto la somma del Pil di Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Uniti.

Siamo di fronte a una gigantesca bolla finanziaria? Data la dimensione, lo scoppio avrebbe un effetto ricchezza deprimente sulla fiducia dei consumatori e costituirebbe un rischio per il sistema finanziario del mondo.t

I Magnifici 7

Se si guarda al multiplo degli utili a cui il mercato valuta i Magnifici 7 (ho sostituito Tesla con la farmaceutica Eli Lilly che l’ha superata in capitalizzazione), il sospetto di bolla è legittimo: in media 34 volte gli utili attesi per quest’anno rispetto a 21 della borsa americana e 14 di quella europea.

Mancano tuttavia due delle condizioni che caratterizzano una bolla: la scommessa da parte degli investitori su aziende che non fanno ancora utili ma si pensa possano avvantaggiarsi in futuro di una innovazione di cui si intravvede l’enorme potenzialità, come fu il caso di internet con le dot.com; e l’indebitamento eccessivo, come per i mutui sub-prime.

I Magnifici 7 sono invece enormemente redditizi, con una crescita media annua degli utili dal 2018 a quelli attesi per il 2025 del 24 per cento, margini del 36 e una redditività sul capitale del 53. Inoltre il rapporto tra il prezzo di un titolo e i suoi utili va parametrato alla crescita di quest’ultimi: fatto 100 gli utili di due società, sarò disposto a pagare oggi molto di più per quella dalla quale mi aspetto la maggiore crescita dei profitti.

Se dunque si divide il rapporto prezzo/utili per la loro crescita attesa nel prossimo biennio, il cosiddetto Peg, quello medio dei Magnifici 7, pari a 1,9, è inferiore per esempio al 2,9 del settore alimentare o al 2,1 degli industriali e farmaceutici. Quanto alla leva, i Magnifici 7 generano una montagna di liquidità che non sanno più come investire e distribuiscono dividendi: Meta ultima a farlo.

I rischi

Non ci sarebbero eccessi nelle valutazioni dunque se gli utili continuassero a crescere a questi ritmi, cosa che però è insostenibile; nessun settore o azienda alla lunga può crescere molto più rapidamente dell’economia in generale.

Inoltre, una volta raggiunte queste dimensioni, crescere è sempre più difficile: i vincoli antitrust limitano le acquisizioni (e anche quella da 75 miliardi per Activision è risibile rispetto ai 3mila di capitalizzazione di Microsoft che l’ha comperata); e la crescita organica si scontra con ostacoli specifici per ciascuno dei Magnifici 7.

Per esempio, Apple ha un problema di innovazione di prodotto: difficile che ogni due anni la gente sia disposta a spendere migliaia di euro per il nuovo iPhone. Poi ha la concorrenza di Google nel marketplace, nel sistema operativo Android, nell’accesso al suo motore di ricerca; ha abbandonato il progetto dell’auto a guida autonoma e subisce l’incertezza sulla nuova generazione di cellulari con intelligenza artificiale. Non sorprende che dei sette abbia il Peg più elevato, 3,7, segno di una valutazione non sufficientemente sostenuta dalle prospettive.

L’opposto di Nvidia, che ha il Peg più basso, 1,2, visto il suo notevole vantaggio tecnologico nello sviluppo di processori per la; un vantaggio però che concorrenti come Amd e Intel potrebbero rapidamente erodere.

Meta e Google hanno i multipli più bassi della media, 24 e 20 rispettivamente perché gli investitori scontano la maturità del mercato pubblicitario, limitata dalla crescita dei consumi, sempre più soggetto alle norme antitrust e regole sull’uso dei dati privati, che subisce la concorrenza dei nuovi entrati come TikTok per Instagram, e quella degli altri Magnifici 7 per esempio nella pubblicità (dalle piattaforme streaming di Amazon Prime e Netflix) o in settori limitrofi in cui cercano di espandersi (Microsoft e Amazon nel Cloud e nelle applicazioni di AI).

Proprio la dimensione di 3mila miliardi è il principale rischio per l’elevato multiplo di Microsoft (35) che rende l’ulteriore crescita enormemente difficile e oltremodo rischiosa la scommessa nell’Ai. Eli Lilly con il multiplo più elevato (61) si avvicina di più alla caratteristiche di un titolo dal valore gonfiato perché si basa solo sulle aspettative dei nuovi farmaci anti obesità, il cui ritorno economico è tutto da stabilire.

Amazon è un caso a parte con una strategia di crescita laterale in settori diversi, finanziata reivestendo gli utili, nei quali però trova sempre nuovi concorrenti come Wallmart nell’e-commerce, Ups nella logistica, Microsoft nel cloud, Netflix nello streaming, Google nella pubblicità, per citarne alcuni. Rischia di distruggere valore sussidiando con gli utili di un settore l’espansione in un settore nuovo e di pagare lo sconto da conglomerato, ovvero quando il valore totale è minore di quello della somma delle singole attività. Amazon con un multiplo di 42, ma redditività e margini più bassi dei sette, è maggiormente a rischio di sgonfiarsi.

L’effetto distorsivo

Non una bolla, dunque, ma valutazioni prospettiche eccessive. Che sono anche frutto di una distorsione dei mercati dove una quantità crescente di risparmio è investita in Etf che replicano l’indice di borsa, a sua volta il parametro usato per misurare la performance dei fondi di investimento. Poiché gli indici sono calcolati pesando i titoli per la loro dimensione, più aumentano gli investimenti in questi strumenti del risparmio, più aumenta il peso dei Magnifici 7 nell’indice, più aumentano gli investimenti in questi titoli, autoalimentandosi.

I Magnifici 7 rappresentano il 31 per cento della capitalizzazione di Wall Street. Una grande concentrazione che di per sé non è un problema; anzi può avere una esternalità positiva perché la prospettiva di guadagno attira tanti capitali nel più vasto settore della tecnologia, con un forte impatto sulla produttività che negli Stati Uniti è tornata a crescere sopra trend. E aiuta a capire la debolezza del mercato dei capitali europeo.

In Europa

Ho costruito un analogo dei Magnifici 7 prendendo le 10 società europee che capitalizzano più di 200 miliardi (diverse proposte alternative sono state avanzate): sono tre francesi nel lusso, Hermes, l’Oreal e Lvmh; la tedesca Sap e l’olandese ASML nella tecnologia; le svizzere Novartis e Roche, la danese Novo Nordisk e l’inglese AstraZeneca nella farmaceutica, e la svizzera Nestlè nell’alimentare.

Non c’è una concentrazione settoriale ma tutte quante derivano la maggioranza dei ricavi al di fuori dell’Europa, e appena la metà sono di paesi dell’Eurozona.

È sintomo della bassa crescita economica europea che non sostiene la crescita delle sue società e della grande frammentazione del mercato dei capitali dove prevalgono regolamentatori, norme, borse, società di clearing, intermediari e investitori istituzionali rigidamente segmentati secondo i confini nazionali, ostacolando le aggregazioni necessarie per raggiungere dimensioni che diano accesso a economie di scala, e per attirare il flusso dei grandi capitali internazionali, svolgendo lo stesso ruolo che i Magnifici 7 hanno avuto per lo sviluppo del mercato dei capitali americano e la crescita della produttività. Basta guardare alla dimensione di alcune acquisizioni a Wall Street per capire che il nostro mercato non è in grado di finanziare operazioni similari: 35 miliardi pagati da Capital One per Discover nelle carte di credito; 59 e 53 rispettivamente da Exxon e Chevron per Pioneer e Hess nell’energia; 25 da Kroger nella distribuzione; 75 da Microsoft per Activision; 61 e 35 rispettivamente da Broadcom e Synopsis nel sowftware.

Il problema ancora una volta è quello di un’Europa dove nazionalismi e dirigismi condannano il mercato dei capitali e le sue società a essere sottodimensionate rispetto al potenziale dell’economia; problema acuito nell’Eurozona dal ruolo pervasivo degli Stati nel capitale delle aziende.

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