Il governo di Giorgia Meloni ha riscoperto la guerra alle istituzioni che sembrava aver archiviato nel passaggio di consegne con Mario Draghi e ha messo nel mirino la prima delle autorità indipendenti del paese, cioè la Banca d’Italia.

Lo ha fatto prima in una modalità rozza, con il sottosegretario al Programma Giovanbattista Fazzolari che ha accusato Banca d’Italia di fare gli interessi delle banche private. Poi ha rincarato la dose con il ministro alle Politiche agricole e cognato della premier, Francesco Lollobrigida. In un’intervista al Corriere della Sera, Lollobrigida è stato più composto nella forma ma più duro nella sostanza.

Pro tempore

Alla domanda specifica sulle differenze di vedute tra l’esecutivo e l’attuale governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco, Lollobrigida ha detto di sperare che «chiunque pro tempore abbia ruoli all’interno di questo fondamentale soggetto sappia estraniarsi dalla sua appartenenza politica» e «avere con terzietà una dialettica corretta col governo tesa al rafforzamento dell’interesse italiano».

Una dichiarazione che torna a mettere in dubbio l’indipendenza della banca centrale dopo le critiche su alcuni aspetti della legge di Bilancio, dall’aumento del tetto al contante alla flat tax. E che va anche oltre, ricordando che gli incarichi alla banca centrale sono a tempo: il mandato di Ignazio Visco scade a ottobre del 2023.

Lollobrigida poi sottolinea più volte il concetto di interesse nazionale: spera, dice, che Banca d’Italia «anche nella sua evoluzione nel tempo, rappresenti a pieno l’interesse dell’economia nazionale nel quadro europeo».

Fratelli d’Italia ha nel suo programma una «politica estera incentrata sulla tutela dell’interesse nazionale» e la Banca d’Italia ha ovviamente un ruolo importante nel consesso europeo, in primis in seno alla Banca centrale europea. Tuttavia questo richiamo al ruolo che può giocare l’istituzione, indipendente per statuto, non è per nulla rituale e rivela un concetto distorto dei rapporti con le autorità indipendenti.

L’ipotesi dimissioni

In particolare, all’attuale governatore Visco, Fratelli d’Italia non perdona l’aver accarezzato l’idea di dimettersi prima del previsto e soprattutto prima che il partito conquistasse il governo e Meloni la presidenza del Consiglio.

A giugno, quando già FdI era dato vincente nei sondaggi, il Foglio ha rivelato che circolava l’idea, condivisa dalle maggiori istituzioni del paese, leggi palazzo Chigi e Quirinale, di far terminare a Visco il mandato con un anno di anticipo per mettere in sicurezza Bankitalia da derive populiste, cioè in sostanza per non replicare lo schema di Paolo Savona alla presidenza della Consob.

Allora Banca d’Italia aveva seccamente smentito, ma, secondo quanto risulta a Domani, l’ipotesi, concretamente presa in considerazione dal governatore Visco, è stata frenata dallo stesso premier Mario Draghi che avrebbe dovuto proporre il sostituto. Poteva essere una garanzia di professionalità, ma avrebbe aperto il fianco alle accuse di spoils system da parte del supposto partito dei tecnici.

Ora, però, passata la fase di formazione del governo, Meloni sembra essersi messa l’elmetto, pronta a rivendicare proprio il diritto allo spoils system.

Tecnici utili

Nelle settimane attorno alla vittoria alle elezioni, il rapporto difficile con le istituzioni e i tecnici sembrava di colpo ammorbidito. Alle prese con la sfida di creare un governo senza classe dirigente, Meloni ha tessuto un buon rapporto con Draghi e ingaggiato un insistente corteggiamento di numerosi uomini a lui vicini. Per il ministero dell’Economia, come è noto, la leader di FdI sognava un nome forte come Fabio Panetta, l’attuale membro del board della Banca centrale europea, candidato dallo stesso “partito” a cui Meloni fa oggi la guerra alla sostituzione di Visco.

Corteggiato tanto e invano, con un curriculum costruito per fare il banchiere centrale, Panetta ha gentilmente declinato. L’ex ministro Daniele Franco, anche lui altro possibile candidato alla sostituzione di Visco, anche lui ha rifiutato. E dalla formazione del governo in poi i rapporti con i tecnici si sono rapidamente deteriorati.

Prima sono venuti gli attacchi al governo precedente sui ritardi del Pnrr, di cui Franco aveva in mano la cabina di regia. Poi ci sono state le offerte ripetute di un ruolo al Mef all’attuale amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, Dario Scannapieco.

Più fonti confermano che, come nella migliore tradizione politica, le offerte a Scannapieco, ancora una volta declinate, sono state il primo tentativo di togliere all’ex vicepresidente della Banca europea degli investimenti la poltrona di Cdp, il primo atto di un conflitto ancora in corso.

Tanto che pochi giorni fa, dopo che il governo ha fatto franare il progetto sulla rete unica messo a punto da Cdp, il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha dovuto smentire pubblicamente di voler sostituire l’amministratore delegato.

In poche settimane, all’obiettivo di presentarsi come classe dirigente all’altezza del compito, si è rapidamente sostituito quello di occupare tutte le caselle possibilmente occupabili.

Le dichiarazioni su Banca d’Italia, però, alzano il livello della sfida ai rapporti tra istituzioni, e sono forse il peggiore messaggio a quella classe dirigente con cui Meloni sembrava volersi tanto accreditare.

Il Quirinale sta intensificando i richiami al mandato di governo, dal Pnrr alla lotta all’evasione, e il mandato di Ignazio Visco scade tra dieci mesi.

A ottobre 2023 il governo ci deve arrivare.

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