La scadenza che tutti attendono, nel mondo politico e della finanza, è quella del 30 settembre, quando il fondo statunitense Kkr dovrà presentare la sua offerta vincolante per rilevare la rete Tim. In questi giorni, però, sta maturando anche un’altra importante novità, una novità destinata a cambiare gli assetti di potere al vertice del settore telefonico nostrano.

C’è una poltrona in ballo ed è quella dell’amministratore delegato di Open Fiber, Mario Rossetti, che è destinato a lasciare tra pochi giorni l’incarico. Nell’estate di due anni fa, Rossetti ha preso il timone dell’azienda a controllo pubblico che sta posando, anche in concorrenza con Tim, una rete in fibra ottica da un capo all’altro del Paese.

Adesso però il percorso del manager, un percorso particolarmente accidentato soprattutto negli ultimi mesi, è vicino al capolinea. Questione di giorni, al massimo poche settimane, visto che il numero uno di Open Fiber ha ormai raggiunto l’accordo con l’azionista Cdp su modi e tempi della sua uscita.

L’indiscrezione circola in ambienti finanziari e in queste ore Domani ha trovato conferme a Roma, in ambienti vicini al governo. Open Fiber, infatti, fa capo per il 60 per cento a Cassa depositi e prestiti, con il resto del capitale in portafoglio al fondo australiano Macquarie e a quanto risulta proprio da Cdp sarebbe arrivato il semaforo verde al cambio al vertice.

In questi ultimi mesi la posizione di Rossetti si è fatta sempre più complicata. Il manager, che ha sempre goduto della massima stima e fiducia sia dell’amministratore delegato di Cdp, Dario Scannapieco, sia al ministero dell’Economia, si è trovato a gestire una situazione difficile dal punto vista industriale e finanziario.

Allo stesso tempo, Rossetti è stato costretto a subire l’ostilità manifesta di una parte del governo, con Fratelli d’Italia che già dalla fine dell’anno scorso avrebbe voluto un cambio al vertice di Open Fiber. Va ricordato che Giorgia Meloni ha affidato al senatore di Fratelli d’Italia Alessio Butti il ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione tecnologica.

Butti ha sempre dimostrato grande attivismo sullo scacchiere della telefonia, intestandosi il “Progetto Minerva” che avrebbe dovuto portare sotto controllo pubblico Open Fiber e la rete di Tim, attraverso un Opa di Cdp su quest’ultima. Un piano naufragato già all’inizio di quest’anno.

Candidati

Per la successione di Rossetti nelle scorse settimane sono circolati diversi nomi, ma al momento il candidato che sembra raccogliere i maggiori consensi è Giuseppe Gola, 59 anni, un ingegnere elettronico, con una solida esperienza anche in campo finanziario, che ha lavorato a lungo nel gruppo Enel, poi in Wind e quindi, dal 2017, in Acea, la multiutility (acqua, gas, luce) del comune di Roma di cui è stato nominato amministratore delegato nel 2020.

Un anno fa, però, Gola ha perso il posto ad Acea per volere del sindaco Roberto Gualtieri ed è stato sostituito da Fabrizio Palermo. Da allora il suo nome è stato tirato in ballo per diversi incarichi, ultimo della serie quello di numero uno di un’altra multiutility del peso di Iren, controllata dai comuni di Genova, Torino e Reggio Emilia. Adesso Gola è in prima fila per prendere il posto di Rossetti.

Butti, che pure si è mosso per far fuori Rossetti, sta spingendo invece per Federico Protto, 56 anni, un altro manager dal lungo curriculum nelle tlc che a luglio ha lasciato il vertice del gruppo Retelit, passato sotto il controllo di un fondo spagnolo. Al momento, però, Gola sembra in netto vantaggio.

Ritardi da recuperare

Il successore di Rossetti dovrà sbrogliare una matassa parecchio complicata. Va recuperato il ritardo che lo stesso Rossetti aveva ereditato nella posa della rete e servono con urgenza nuove risorse finanziarie per far fronte a costi supplementari stimati 850 milioni rispetto al piano economico finanziario originario. Non per niente, da tempo Open Fiber chiede al governo di intervenire per coprire queste spese impreviste. Rossetti ha sempre rivendicato una forte accelerazione dei lavori durante la sua gestione, ma la rimonta è tutt’altro che completata.

In ballo ci sono i fondi del Pnrr, a cominciare da quelli pari a 3,5 miliardi messi a disposizione per il piano “italia a 1 Giga”. Open Fiber, e anche Tim, non hanno rispettato la tabella di marcia prevista per le cosiddette aree bianche, quelle a “fallimento di mercato” cioè le aree scarsamente popolate dove nessun operatore avrebbe convenienza a investire. «Ora siamo al 76 per cento di avanzamento e confermiamo la scadenza della fine del 2024 per completare i lavori», ha dichiarato Rossetti in una recente intervista.

Sul fronte finanziario sono aperte le trattative con le banche per ottenere nuove condizioni sui prestiti rispetto a quelle fissate nell’autunno del 2021, quando venne elaborato un maxi project financing da 7,2 miliardi di euro. A fine giugno il gruppo aveva debiti per 4,5 miliardi verso gli istituti di credito.

La partita Tim

In prospettiva, comunque, per il destino di Open Fiber sarà decisiva l’eventuale integrazione con la rete di Tim una volta che quest’ultima passata a un nuovo azionista, probabilmente Kkr.

L’ex Telecom Italia dovrebbe chiudere a breve l’intesa con il fondo americano e nella partita entrerà direttamente anche il governo, che ha annunciato essere pronto a comprare una quota fino al 20 per cento dell’ipotizzata futura società a cui farà capo la rete di Tim, sotto il controllo di Kkr. In base agli accordi, l’acquirente americano dovrà presentare la sua offerta entro il 30 settembre, ma non è escluso che la scadenza venga posticipata di qualche giorno per arrivare a un’intesa anche con i francesi di Vivendi, il primo socio di Tim.

Per realizzare quanto previsto nell’accordo e rendere operativa la nuova società comune serviranno almeno 12 mesi, forse 18, e in questo periodo si capirà anche quale sarà il futuro di Open Fiber, guidata da un manager che non sarà Rossetti.

© Riproduzione riservata