Il mondo sta cambiando e ci ha presi di sorpresa. Per questo è necessaria una svolta radicale rispetto al passato: l’Europa deve organizzarsi per far fronte alle nuove sfide.

Le parole di Mario Draghi cadono nel vuoto di strategie di un’Unione costretta a inseguire da lontano Stati Uniti e Cina. L’ex capo del governo italiano è intervenuto ieri alla Conferenza sui diritti sociali organizzata alle porte di Bruxelles dalla presidenza di turno belga e ha offerto alcune anticipazioni del rapporto sulla competitività europea che gli è stato affidato a settembre dalla presidente Ue, Ursula von der Leyen.

Non è la prima volta che Draghi lancia un allarme per l’evidente impreparazione dell’Europa nel confronto con le economie cinesi e americana, ma questa volta il suo discorso cade a poche settimane da un appuntamento elettorale quanto mai incerto, mentre da più parti il banchiere-politico viene visto come un possibile successore di von der Leyen. Il richiamo di Draghi, quindi, prende un nuovo, e diverso, peso politico, e suona come un appello ai governi europei perché ritrovino l’unità dei padri fondatori, settant’anni fa, per rispondere a un declino che altrimenti appare inevitabile.

La sfida di Usa e Cina

Il confronto è destinato a diventare sempre più duro, sostiene l’ex capo della Bce, perché i nostri competitor globali non rispettano le regole del gioco, quelle di un mondo che non c’è più, e stanno ridisegnando le loro economie «per crescere a spese della nostra». L’obiettivo è quello di renderci «stabilmente dipendenti da loro». Il riferimento a Stati Uniti e Cina è evidente. Draghi nel suo discorso fa l’esempio della strategia di Pechino che punta a impadronirsi dell’intera catena del valore dell’economia green e delle tecnologie avanzate e minaccia di tagliare fuori le nostre industrie. Nel frattempo, gli Usa finanziano massicci programmi di finanziamento per attrarre imprese sul loro territorio, usando l’arma del protezionismo per mettere fuori causa i concorrenti stranieri.

L’Europa non ha scelta. I paesi membri devono unire le forze per elaborare una strategia comune per colmare il divario nella corsa alla leadership globale nelle tecnologie avanzate. Mentre nei settori tradizionali, a cominciare da industrie energivore come quella dell’acciaio, è necessario uno scudo che difenda le aziende europee dalla concorrenza di imprese cinesi e americane avvantaggiate da un costo inferiore dell’energia, da minori vincoli regolatori oltre che da ingenti sussidi pubblici.

Ma come recuperare il tempo perduto? Come rispondere con efficacia e velocità a queste sfide? «Non possiamo permetterci il lusso di attendere la prossima modifica dei trattati», è la risposta di Draghi. Quindi va studiato e approvato al più presto «un nuovo strumento strategico per coordinare le politiche economiche».

Le tre partite decisive

Sono tre le minacce principali a cui va data immediata risposta. La prima riguarda le economie di scala, che vengono sfruttate al massimo dai nostri concorrenti, mentre l’Europa, che pure è un grande mercato, si muove ancora con una logica diversa da paese a paese. Draghi fa l’esempio dell’industria della difesa e delle telecomunicazioni, un mercato, quest’ultimo, dove l’Unione conta su 34 operatori contro i tre degli Stati Uniti e i quattro della Cina. Per favorire la creazione di grandi gruppi va innanzitutto armonizzata la regolamentazione tra i diversi paesi membri.

Una seconda sfida decisiva si gioca sul mercato dei cosiddetti “beni pubblici”, come per esempio le reti elettriche o le infrastrutture dei super computer, in cui vanno rafforzate le possibilità di stanziare e gestire risorse aggiuntive da parte dell’Unione, aumentando anche il contributo del risparmio privato. E qui Draghi è tornato sul ruolo del risparmio delle famiglie, che in gran parte resta fermo nei conti correnti bancari invece di andare a finanziare la crescita delle aziende. La creazione di un mercato unico dei capitali, ha ricordato l’ex banchiere centrale europeo, favorirebbe la mobilitazione degli investimenti aumentando la competitività dell’industria Ue.

Infine, ed è la terza sfida citata da Draghi, c’è la corsa alle materie prime, che è vitale per la svolta green dell’Europa. Qui non possiamo permetterci di aumentare la nostra dipendenza da paesi su cui non possiamo più contare (evidente il rifermento alla Russia) e quindi va elaborata una strategia che copra per intero la gestione delle risorse. Qui la Commissione si è già mossa, ma secondo Draghi andrebbe varata una piattaforma europea che gestisca in modo integrato l’approvvigionamento, la diversificazione dei fornitori, il finanziamento e la gestione delle scorte di minerali strategici.

Ecco, in sintesi, la direzione di marcia che Draghi indica per l’Europa. È forte il senso dell’urgenza, perché il distacco da Cina e Stati Uniti rischia di diventare incolmabile. E allora, per tagliare i tempi, il banchiere italiano non esclude che “in casi particolari” le decisioni possano essere prese anche da una minoranza di stati membri. Va però ricordato, è la conclusione, che la sfida della competitività non può essere vinta da ciascun paese singolarmente. Nello scenario globale la rimonta sui nostri concorrenti ci sarà solo a condizione che l’Europa sia unita, dice il politico Draghi, come mai prima d’ora.

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