Sistemata forse Alitalia, Tim è un’altra storia infinita, grazie alla quale la stampa estera avrà altri validi motivi per canzonarci. Nel 2021 Tim ha conferito la sua rete secondaria nella controllata Fibercop, cui partecipa al 35 per cento Kkr, fondo di private equity. Abbandonato l’arduo negoziato sulla mitica “rete unica” con Open Fiber (60 per cento della Cassa depositi e prestiti-Cdp, 40 per cento del private equity Macquarie), il Consiglio di amministrazione Tim ha dato proprio a Kkr l’esclusiva per l’acquisto della propria rete fissa. Esso la valuterebbe 22 miliardi, ma per il principale azionista di Tim, la francese Vivendi col 24 per cento, essa ne vale almeno 30. Dopo l'uscita del suo amministratore delegato de Puyfontaine, Vivendi non ha più rappresentanti nel CdA Tim, che ha approvato all'unanimità l'esclusiva.

Se vi pare intricato, allacciate le cinture! Nel 2016 Vivendi ha comprato sul mercato poco meno del 29 per cento di Mediaset. L’acquisto, non concordato col gruppo Berlusconi, ha portato ad una lunga lite, placata da un accordo in base al quale questo rilevava da Vivendi subito il 5 per cento. La seconda avrebbe venduto la quota, scesa al 23 per cento, quando l'azione avesse superato un corso che però non ha mai raggiunto.

Vivendi ha oggi il 23-24 per cento sia di Mediaset, controllata dal gruppo Berlusconi con quasi il 50 per cento, sia di Tim. In quest’ultima Cdp ha quasi il 10 per cento; nel CdA siede il suo presidente, Gorno Tempini.

Non c'è spazio per complessità tecniche, ma Tim si presta a riflessioni sul nostro sistema economico. Pur se il suo statuto non riserva all'assemblea straordinaria la decisione sulla cessione della rete, è lecito chiedersi se gli interessi di tutti - azionisti e altri stakeholder - siano tutelati svuotando l’impresa con una semplice decisione del CdA.

Questo pare non volere correre rischi; Vivendi, che col 24 per cento boccerebbe la cessione in assemblea, potrebbe opporsi alla decisione del CdA. Sotto altri profili, ci si domanda se ha senso l'ingresso di fondi di private equity come Kkr, Macquarie o altri, in concessionari quali Autostrade o grandi infrastrutture.

Grazie ad acconci accordi parasociali, essi puntano a ritorni elevati, nonostante la natura di tranquilla utility di quegli operatori; la presenza nel loro capitale di entità pubbliche come Cdp li fa dormire tranquilli.

Pagherà il cliente, o il contribuente, prima con tariffe più alte, poi subendo nuove traversie quando ne usciranno. Tim sarebbe il primo operatore europeo a scorporare la rete fissa, riducendosi ai soli servizi commerciali; se davvero questa è oggi una mossa obbligata, lo dobbiamo alle operazioni di estrazione di valore fatte su Tim a partire dall'Opa Bell nel 1999. E gli estrattori hanno nomi e cognomi.

Come Pirelli

Tim richiama per certi aspetti il caso Pirelli. Qui la Camfin (Marco Tronchetti Provera ed altri), dopo aver ceduto ai cinesi il controllo del gruppo, profitta dell'onda Usa anti-Cina per depotenziare, a vantaggio di interessi si spera nazionali, ma certo anche suoi propri, la quota cinese.

Desta sospetti questo ritorno dello stato nell'economia a tutela dei privati. Proteggere gli interessi del paese è un conto, altro far da stampella a interessi privati, che poi potrebbero subirne anche conseguenze sgradite, ad esempio sul corso di borsa e sul costo del capitale. Vale per tutti: Pirelli, Tim, Vivendi, anche Mediaset.

Parrebbe naturale che i due principali soci di Tim, Cdp e Vivendi, data anche l'opposizione di questa, si parlassero nell'interesse dello sviluppo dell'impresa.

E non è escluso che Open Fiber, ora uscita di scena, poi vi rientri. Il governo, di cui il blocco Berlusconi-Forza Italia è rilevante componente, avrà un ruolo essenziale nel prosieguo, anche via Cdp. Col golden power dovrà decidere a che condizioni approvare la vendita della rete.

Per Il Sole 24 Ore, Roma auspica una “offerta congiunta fra soggetti di mercato e soggetti a controllo pubblico”. Vivendi starà intanto riflettendo su come muovere su Mediaset nel mutato contesto. Servono rassicurazioni su chi e come gestisce la partita Tim, il governo non mischi le carte. La lite fra Vivendi e il Biscione, fin qui sopita, potrebbe riaccendersi.

Questo laocoontesco viluppo va gestito in modo corretto e trasparente. Per il rispetto di ruoli e interessi in gioco, è necessario che Forza Italia e il gruppo Berlusconi, privi di ruoli istituzionali in Tim, non ne seguano gli sviluppi grazie al governo o a qualche gola profonda. Ma già, dimenticavo, potremo certo contare sulla Consob di Paolo Savona.

 

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