I dati del rapporto Inps 2022 sui lavoratori a basso reddito fotografano la crisi sociale del paese, ma potrebbero essere anche la soluzione di quella politica.

Secondo la relazione annuale presentata ieri dal presidente, Pasquale Tridico, un lavoratore nato tra il 1965 e il 1980 con un salario pari a 9 euro lordi l’ora – soglia che è stata ipotizzata come salario minimo in Italia – dopo 30 anni ipoteticamente con la stessa retribuzione, otterrebbe un assegno pensionistico di 750 euro, circa 200 euro in più rispetto alla pensione minima. Il problema è che attualmente il 23,3 per cento dei lavoratori dipendenti – 3,3 milioni, sempre secondo i dati Inps - ha un salario inferiore a quella soglia. Sulle tasche dei lavoratori italiani quest’anno si è abbattuta anche l’inflazione, riducendo i redditi reali percepiti. Tanto che secondo i tecnici dell’istituto di previdenza, proprio l’inflazione «sarà determinante per definire la soglia del salario minimo».

Ai redditi bassi e alle disuguaglianze, in primis quella tra donne e uomini – le prime percepiscono in media il 25 per cento in meno dei secondi – contribuisce anche la selva di forme contrattuali: 1.011 quelle contate dall’Inps. Per questo Tridico propone due interventi: un riordino dei contratti legato «alla rappresentatività dei soggetti contraenti», richiamo a quella legge sulla rappresentanza che i sindacati maggiori chiedono ormai da anni, e un salario minimo, misura su cui invece i sindacati italiani sono stati sempre tiepidi per paura di perdere forza negoziale e su cui invece oggi sembra essere vicina l’intesa.

Sempre ieri, infatti, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che oggi incontrerà con Draghi le organizzazioni dei lavoratori, ha detto che ci sono le condizioni per l’intesa. Orlando ha lavorato a una proposta che lega il salario minimo ai livelli della contrattazione di categoria maggiormente rappresentativa. Una soluzione all’italiana che potrebbe mettere d’accordo tutti e che potrebbe persino risolvere le tensioni nella maggioranza di governo.

I rapporti M5s-Pd-Draghi

Se c’è un partito che ha sempre fatto del salario minimo una bandiera è il Movimento 5 stelle. Anche il Partito democratico ha sposato la battaglia, e con l’avanzare della crisi economica il premier Draghi, appena un anno fa silente sulla questione, è pronto a inserirlo nel ventaglio di misure da discutere con i leader di Cgil, Cisl e Uil. In questo clima più favorevole all’intervento, Giuseppe Conte ha inserito il salario minimo tra le condizioni chieste al premier. Per Draghi è piuttosto semplice soddisfarla: il governo ci sta già lavorando.

Non a caso ieri quello che si è rivelato il più draghiano dei punti di riferimento dei Cinque stelle, Beppe Grillo, ha scritto un post ribadendo l’urgenza di fissare una retribuzione minima in Italia: «Numeri pazzeschi che devono assolutamente essere stravolti. Per farlo abbiamo l’urgente bisogno di un salario minimo». Commenti di tenore simile da parte dell M5s, Rossella Accoto, che del governo Draghi è sottosegretaria al Lavoro, e di una buona parte dei senatori. Dalla parte del Pd, la capogruppo alla Camera Debora Serracchiani citava proprio il salario minimo come la prova del fatto che Conte non ha motivi per uno strappo. Il centrodestra fa lo stesso ragionamento ma dal fronte opposto: Draghi, è il ragionamento, accontenta il Movimento che lo mette sotto ricatto.

Si potrebbe argomentare che Conte ha scelto per ricattare Draghi alcune misure che il governo aveva praticamente già in tasca, non esattamente un ricatto. Il M5s si è messo nella condizioni per essere soddisfatto dall’esecutivo, il punto è se vuole davvero esserlo.

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