Va avanti a oltranza la trattativa tra Invitalia e ArcelorMittal sul futuro dell’ex Ilva, con il governo che ha giocato l’arma dell’amministrazione straordinaria, come estremo strumento di pressione. I team legali di ArcelorMittal (assistiti dallo studio ClearyGottlieb) e di Invitalia (che si è affidata a Chiomenti) sono al lavoro per trovare una soluzione consensuale, ma tutte le proposte di Mittal sono state fin qui respinte al mittente. Si va da una richiesta di buonuscita di 400 milioni di euro alla proposta di cedere tutte le proprie quote all’azionista pubblico, con quest’ultimo che dovrebbe sobbarcarsi tutti gli oneri finanziari, oltre a incorrere nel rischio di sanzioni da parte dell’Ue per violazione della normativa sugli aiuti di Stato.

Serve almeno un miliardo di euro per rilanciare Acciaierie d’Italia, una somma che potrebbe aumentare di molto per adeguare gli stabilimenti alle norme europee in materia di transizione ecologica. Lo Stato non vuole farsi carico per intero di questi costi, ma dall’altra parte continua a non trovare sponde. Mittal ha già detto no a contribuire con 320 milioni di euro all’aumento di capitale cedendo al contempo la quota di maggioranza a Invitalia, mentre gli altri possibili investitori privati non sono interessati a entrare nella compagine aziendale a queste condizioni, subentrando solo dopo l’eventuale commissariamento, che risani il bilancio e la struttura dell’acciaieria. «È il momento di fare chiarezza – ha detto ieri il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti – ma in questo momento c’è un partner che non ha ancora chiarito la sua posizione».

Proprio il commissariamento, a questo punto, rischia di essere l’esito più probabile della vicenda, con tutti i rischi e le conseguenze del caso, se non ci sarà l’auspicato chiarimento tra le parti. Il decreto annunciato martedì dal governo ha l’obiettivo di far scendere la multinazionale franco-indiana a più miti consigli, dissuadendola dall’intraprendere una battaglia legale che rischia di essere fatale per il futuro dell’azienda e dei suoi diecimila dipendenti, che salgono a ventimila se si considerano anche i lavoratori dell’indotto. Di fronte al rischio di perdere tutto, Mittal potrebbe essere disposta ad accettare un compromesso al ribasso. D’altronde, ha detto Giorgetti, «ci sono molti investitori interessati a produrre a Taranto».

Nella nota diffusa martedì sera da Palazzo Chigi si legge infatti che «il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto-legge che rafforza alcune misure già presenti nell’ordinamento, a tutela della continuità produttiva e occupazionale delle aziende in crisi, fra cui l’ex Ilva, e prevede garanzie di cassa integrazione straordinaria durante l’eventuale amministrazione straordinaria. Vengono esclusi dalla cassa integrazione i lavoratori impegnati nella sicurezza e nella manutenzione degli impianti, per consentire che restino operativi». Si tratta di circa 1500 dipendenti dell’acciaieria di Taranto dal quale dipende il destino degli altri quattro stabilimenti di Acciaierie d’Italia (Genova, Novi Ligure, Racconigi e Marghera). Dalla nota si apprende poi che «rimangono ferme le disposizioni, già inserite nell’ordinamento, a tutela delle piccole e medie imprese creditrici». Una mossa per velocizzare i tempi, tranquillizzare creditori e dipendenti e mettere ulteriore pressione ai Mittal, ancora poco propensi a mollare la presa, interrompendo il loro gioco al rialzo. Intanto per oggi è previsto un nuovo incontro con i sindacati, in attesa di capire se alle promesse fatte nelle ultime settimane dal ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso facciano seguito risposte concrete.

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