Telefoni caldi? Mica tanto. Anzi, sul mercato nostrano delle telecomunicazioni si respira un’aria gelida come non mai. I ricavi delle grandi aziende del settore non crescono, o crescono di poco, e il denaro in cassa non basta a finanziare gli ingenti investimenti in programma per i prossimi anni, a cominciare da quelli per il 5G. In estrema e brutale sintesi questa è la situazione mentre l’ex monopolista Telecom Italia, ora Tim, è pronto a vendere la propria rete, cioè i cavi su cui scorrono voce e dati, per concentrarsi sui cosiddetti servizi di connettività, destinati ai privati cittadini e alle aziende. Un’operazione di cui si parla da anni, tra stop politici, negoziati infiniti e speculazioni varie, ma ora che il governo si è schierato al fianco del compratore, il fondo americano Kkr, il contratto è stato finalmente firmato e dalla prossima estate il più grande gruppo nazionale di telecomunicazioni prenderà il largo con il suo nuovo assetto societario. Resta l’incognita di un possibile ricorso in tribunale dei francesi di Vivendi, il principale azionista di Tim con una quota del 23,7 del capitale, che chiede di dare la parola ai soci in assemblea per deliberare il via libera alla cessione della rete. Non è detto, però, che la vertenza si risolva davvero davanti ai giudici. I contatti tra le parti e con il governo sono in corso da tempo e nelle prossime settimane si potrebbe arrivare a una soluzione di compromesso. La questione societaria è di certo importante, ma il futuro si gioca soprattutto sui numeri che raccontano di un business che deve trovare nuovi equilibri di conto economico. E questo vale per Tim, come per gli altri principali operatori attivi in Italia e cioè Vodafone, Wind Tre, Fastweb e Iliad.

Forte concorrenza 

La concorrenza sulle tariffe è spietata. Iliad, raccontano le aziende rivali, ha fatto irruzione sul mercato con offerte al ribasso che hanno costretto gli altri operatori a inseguire il gruppo francese nel tentativo di trattenere la clientela allettata da una girandola di sconti. Di conseguenza, difendere i margini di profitto è diventato più difficile per tutti. Nei primi nove mesi del 2023 il giro d’affari di Tim in Italia è aumentato di poco rispetto allo stesso periodo del 2022, più 0,9 per cento, così come l’ebitda (utile prima di ammortamenti, tasse e gestione finanziaria) in crescita dello 0,5 per cento. Vodafone Italia, seconda per quote di mercato dopo Tim, ha chiuso a settembre un semestre con ricavi in calo dell’1,3 per cento a 2,1 miliardi, mentre l’Ebitda si è ridotto del 15 per cento.

Se poi si allarga lo sguardo al 2022 è facile rilevare che nel gruppo dei cinque principali operatori nazionali si scopre che solo Fastweb e Iliad (che comunque ha i conti in rosso) hanno visto migliorare la propria redditività, mentre per Tim, Vodafone e Wind Tre il margine di profitto si è assottigliato. Il trend di mercato è chiaro. Ricavi e utili sembrano destinati a calare ancora. Ecco perché gli analisti sono sempre più convinti che presto o tardi gli equilibri di settore cambieranno. “Ci vuole una in country consolidation”, ha dichiarato di recente l’amministratore delegato di Vodafone Italia, Aldo Bisio, riferendosi più in generale allo scenario europeo. Un mercato popolato da quasi 700 operatori, di cui 587 virtuali. Al momento, però, la svolta sembra più probabile in Italia, l’unico grande Paese del Vecchio Continente dove nella telefonia mobile sono attive ben quattro grandi aziende con una rete propria (operatori infrastrutturali): Tim, Vodafone, Wind Tre e Iliad. L’ipotesi, un’ipotesi che trova sempre più sostenitori tra gli addetti ai lavori, è che una di queste aziende faccia un passo indietro e ormai da mesi le voci puntano soprattutto su Vodafone.

L’anno scorso, secondo queste indiscrezioni, la multinazionale guidata a livello globale dalla manager italiana Margherita Della Valle, sarebbe stata pronta a cedere le attività italiane a Iliad. In queste settimane, invece, è stata tirata in ballo anche Fastweb, controllata dal gruppo elvetico Swisscom, come ipotetico acquirente. Voci sempre smentite dai diretti interessati. Va detto però che Vodafone sta ridisegnando la mappa delle sue attività europee. A inizio anno ha venduto la filiale ungherese, mentre un mese fa Vodafone ha incassato circa 5 miliardi di euro vendendo la propria controllata spagnola al fondo d’investimento Zegona. Queste operazioni hanno ovviamente alimentato le speculazioni su un possibile disimpegno anche in Italia. “Stiamo valutando una serie di opzioni”, ha ammesso di recente la numero uno Della Valle, dopo aver osservato che l’Italia è un mercato “molto impegnativo”, un mercato in cui “nessun operatore di telecomunicazioni ha ritorni superiori al costo del capitale”. In altre parole, dati alla mano, non c’è convenienza a investire. La torta è troppo piccola per garantire a tutti gli operatori un margine di profitto adeguato, a maggior ragione in una fase in cui il costo del denaro è destinato a rimanere elevato ancora per gran parte del prossimo anno, come minimo, con il risultato di rendere più costosi da finanziare gli indispensabili investimenti sulla rete.

Settore in affanno

Un’analisi dell’ufficio studi di Mediobanca, pubblicata pochi giorni fa, fornisce le cifre che illustrano le difficoltà del settore, numeri che fanno dell’Italia un caso che non ha eguali in Europa. Il nostro mercato, infatti, è l’unico che nel 2022, l’anno a cui si riferisce la ricerca, ha fatto segnare un’ulteriore contrazione del giro d’affari, pari a 26,9 miliardi, in diminuzione del 3,3 per cento rispetto al 2021. Misurato nell’arco di un quinquennio, il calo sfiora il 14 per cento (meno 13,8 per cento). E se il confronto si estende al 2010 la picchiata del giro d’affari appare ancora più impressionante: meno 15 miliardi in 12 anni. Altrove nel continente le cose vanno in modo diverso. In Germania l’anno scorso si è chiuso con ricavi in aumento dell’1,3 per cento a 59,1 miliardi e anche i dati che riguardano gli altri pesi massimi europei (Francia, Regno Unito e Francia) segnalano che ovunque il fatturato è in aumento, seppure di poco, intorno all’1 per cento.

Il distacco che divide l’Italia dal resto d’Europa è ancora più ampio se si prende in considerazione la redditività. Secondo l’analisi di Mediobanca, nel 2022 il margine industriale (Ebit) degli 11 principali operatori italiani, valgono il 95 per cento del mercato, non ha superato l’1,2 per cento dei ricavi, contro il 14,3 per cento fatto segnare in media dalle aziende di telecomunicazioni dell’Emea, l’area geografica che oltre al Vecchio Continente comprende anche Africa e Medio Oriente. Cinque anni fa, nel 2018, la situazione era diversa. Il margine industriale delle aziende nostrane di telecomunicazioni si era attestato intorno al 14,5 per cento del giro d’affari.

Come si spiega il declino italiano? Per rispondere bisogna partire dai dati che riguardano i prezzi. Qui il divario tra il nostro Paese e i maggiori mercati europei è davvero macroscopica. È stato calcolato che in Italia la tariffa per un gigabyte di dati sulla rete mobile non supera i 9 centesimi, contro i 13 centesimi della Francia e i 40 della Spagna, mentre in Germania il prezzo sale addirittura a 1,15 euro. Per i consumatori questo è il migliore dei mondi possibili, ma le aziende, come detto, fanno fatica a sbarcare il lunario.

Ad allargare la forbice tra il nostro Paese e il resto d’Europa sono stati anche quelli che gli analisti di Mediobanca definiscono gli effetti regolamentari, con i prezzi della telefonia mobile in costante ribasso anche per le decisioni dell’authority di settore sulle tariffe di terminazione, quelle che gli operatori si applicano reciprocamente per le chiamate sulle loro reti. Il resto lo ha fatto la guerra dei prezzi tra i vari marchi, con i big del settore all’inseguimento dei concorrenti virtuali, a cominciare da Poste Mobile. Intanto però il piatto piange e la liquidità in cassa continua a calare. Ed ecco che per tamponare la situazione è arrivato anche il pronto soccorso del governo. Oltre a una nuova norma che sblocca alcuni limiti alle offerte low cost, limiti che avrebbero messo in difficoltà soprattutto gli operatori più grandi, la maggioranza sta studiando anche un aiuto di una quarantina di milioni per far fronte agli extra costi dell’energia. Solo una toppa. Per il futuro si vedrà.

© Riproduzione riservata