Rosneft, il colosso dell’energia della federazione russa, ha perso in tribunale contro i giornalisti del quotidiano Domani, chi vi scrive e Stefano Vergine. L’azienda del Cremlino ha fatto causa ai due cronisti per l’inchiesta giornalistica sulla trattativa del Metropol, ossia il negoziato condotto, nell’omonimo hotel di Mosca, tra l’ex portavoce di Matteo Salvini e un gruppo di russi legatissimi al governo, tra questi anche un uomo dei servizi segreti russi dell’Fsb.

Lo scoop raccontava del tentativo di ottenere un finanziamento milionario dal leghista Gianluca Savoini per sostenere la Lega alle elezioni europee del 2019. La trattativa del Metropol è avvenuta il 18 ottobre 2018. Nell’audio della riunione tra Savoini, altri due italiani e i tre russi, i protagonisti citavano Rosneft, quale controparte per gestire la partita, celata da una compravendita di gasolio con l’azienda di stato italiana Eni.

Dopo gli articoli pubblicati sul settimanale L’Espresso (dove lavoravano i cronisti all’epoca) e l’uscita del Libro Nero della Lega (autori Tizian e Vergine) nel quale si approfondivano le rivelazioni sul Metropol, la procura di Milano aveva avviato un’indagine per corruzione internazionale a carico di Savoini e gli altri due italiani presenti, Francesco Vannacci (ex bancario) e Gianluca Meranda (avvocato d’affari). Dopo oltre due anni di verifiche i pm di Milano hanno chiesto e ottenuto l’archiviazione specificando, come scrivono nella loro richiesta, che è certo che la trattativa c’è stata e che in quella sede gli indagati hanno parlato del finanziamento alla Lega.

Nella loro archiviazione scrivono anche che l’indagine è stata però ostacolata dalle non risposte dell’autorità russa, la quale ha rifiutato di rispondere alle rogatorie inviate dai pm italiani per acquisire documentazione e interrogare alcune persone, tra cui il capo di Rosneft.

Tutto vero

Tutto vero, dunque, ma senza reati. Una vicenda che ancora oggi pesa molto sulla Lega di Salvini, un’etichetta di un rapporto con Putin che si aggiunge all’accordo politico firmato con il partito Russia Unita sempre in quel periodo.

A differenza di Salvini, che non ha mai denunciato L’Espresso né Laterza (casa editrice del Libro nero della Lega), Rosneft ha chiesto 1 milione di euro di risarcimento ai cronisti, al direttore dell’epoca del settimanale, Marco Damilano, e alla casa editrice, entrambi difesi da Virginia Ripa Di Meana. A distanza cinque anni, il 6 febbraio scorso, il tribunale di Roma, sezione civile, ha rigettato le richieste del colosso di stato russo, condannandolo al pagamento delle spese, in totale poco meno 15mila euro.

La sentenza, notificata tre giorni fa, entra nei dettagli della vicenda: «Gli autori degli articoli riportano quanto “dicono i russi”, e il tentativo di coinvolgere la parte attrice nell’operazione risulta non solo nella registrazione audio dell’incontro del 18 ottobre 2018, come risulta nella richiesta di archiviazione e decreto di archiviazione (della procura, ndr), ma anche nella documentazione (pubblicata da L’Espresso nel 2019, ndr) acquisita nel procedimento penale, in particolare le lettere inviate alla parte attrice sia prima che dopo l’incontro del 18 ottobre 2018 avente a oggetto la richiesta di una fornitura di prodotti petroliferi con lo sconto del 6,5 per cento».

Dunque, secondo i giudici, «tenuto conto della natura di giornalismo d’inchiesta, sussiste il requisito della verità della notizia». L’ennesima conferma del Russiagate leghista.

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