I cartelloni pubblicitari fuori dai negozi della catena Pizza Hut, a Taiwan, svelano con grande fanfara la nuova pizza che sarà disponibile nei giorni della festa della Luna, la festa autunnale in cui il mondo cinese celebra il raccolto, la fine dell’estate e l’unione famigliare, e che quest’anno si tiene il 29 settembre.

Per presentare l’ultima arrivata nel menù di Pizza Hut, una banderuola con una mezzaluna che potrebbe ricordare una pizza campeggia all’ingresso di ogni negozio, con sopra dei pezzi di formaggio brie disposti in tondo (la luna bianca e piena) e delle fettine di carne arrostita alla coreana, con una salsa dolce tipo quelle del teriyaki, disposte a raggiera.

Nel mezzo c’è qualcosa che potrebbe essere l’unico richiamo alla tradizione, con del pomodoro e formaggio, ma sotto al brie si intravedono anche pezzetti di verdura, mentre infine un cerchio intorno al bordo della pizza potrebbe essere chicchi di mais e formaggio.

Di fianco a questa pizza è disegnato un coniglietto che guarda compiaciuto la “luna piena” mangiabile (quasi?), e il cappellino sbilenco che è il simbolo di Pizza Hut. Appeso al soffitto del negozio invece si vede uno spicchio di pizza di stoffa, come decorazione, e tutt’intorno foto di pizze decorate con ketchup, maionese e altre salsine, come se fossero delle torte.

Benvenuti a Taiwan, dove la tradizione di pizze straordinariamente diverse da quelle che sarebbero considerate tali in Italia è ormai così ancorata che le pizze stagionali non sono rifuggite con apprensione, ma attese con un certo entusiasmo.

Tradizionali “stagionali”

Clarissa Wei, esperta di cultura alimentare taiwanese, spiega che “la carne alla griglia è stata scelta perché a Taiwan quando c’è la festa della Luna è tradizione fare delle grigliate all’aperto, approfittando delle serate più fresche”, aggiungendo che per quanto riguarda Taiwan queste sono considerate pizze a tutti gli effetti, che non si sentono in nulla inferiori a quelle prodotte altrove.

Eppure, nel guardare questi taglieri con sopra pizza al mango, alle perline di tapioca e zucchero, alle fragole, con i biscotti Oreo nel cornicione, sangue di maiale, spaghettini giapponese ramen, e via dicendo, viene da chiedersi perché sia necessario intestardirsi a chiamarle pizza, e non pensare ad un nome più neutro.

Tant’è: l’abitudine è ormai diffusa, e alcune delle idee stagionali di maggior successo si ripropongono poi anche in altre pizzerie, che sanciscono così la totale accettabilità di un certo tipo di condimento.

La boba, per esempio, quelle palline traslucide di zucchero e tapioca che di solito vengono messe dento ai cocktail analcolici al tè oppure come decorazione sui dessert, è ormai un condimento da pizza del tutto accettabile a Taiwan, dove si può trovare in diversi tipi di pizzerie, neanche si trattasse di carciofini. Gli spaghettini ramen, sempre su pizza, hanno attecchito meno.

Chi, come Clarissa Wei, giustifica queste virate innovative e localizzate sulla pizza le descrive come una versione di un cibo che non è preparato per il palato di chi è abituato alla pizza classica, ma per chi, in luoghi per l’appunto come Taiwan, non ha facile accesso a nulla che assomigli a una mozzarella fresca, e che si sente più vicino a sapori familiari come quelli di una pizza coperta di boba.

Un piatto che è stato dunque del tutto localizzato, senza cercare di avvicinarsi un granché alla sua versione originale, e di proseguire per la sua strada lasciandosi alle spalle ogni relazione con la pizza intesa, per così dire, all’italiana.

Pizza e boba

Per non lasciare che la questione fosse solo teorica, sono andata una sera da Pizza Bar, un ristorante di Taipei aperto dal 1985 e che si vanta di avere anche il forno a legna. La pizza alla boba è arrivata su una base sottile poco lievitata, e con sopra un formaggio chiaro e uno giallo un po’ dolci, su cui era stata spolverata la boba, con anche un filo di maionese che ricopriva il tutto.

Il gusto era come si può immaginare che fosse: una focaccina dolce, un po’ filante e, quando i denti incontrano la boba, con quella consistenza caratteristica, un po’ gommosa, che i taiwanesi ricercano tanto e che chiamano Q (pronunciato chiu, come si pronuncia la lettera in inglese).

Buona non mi è parsa – ma guardavo i vicini di tavolo che mangiavano una pizza alle fragole e una al mango, con lo stesso trattamento di formaggi e maionese, e mi sono detta che sarebbe potuta andarmi peggio. Il debole per i cibi dolci è una passione tutta taiwanese: un cucchiaio di zucchero è aggiunto praticamente a tutto, e non può dunque mancare nelle basi, e nei condimenti, per pizze.

Le catene

La paternità della pizza alla boba però è di Domino Pizza, il principale competitore di Pizza Hut a Taiwan, che per primo aveva proposto cerchi di pasta interamente ricoperti dello stesso miscuglio di formaggi dolci e sopra un’infinità di piccole palline di tapioca e zucchero di canna e palline bianche di mochi, che si producono con farina di riso glutinoso e zucchero.

Il successo che ha riscosso, però, è stato tale che oggi la pizza alla boba viene riproposta da tantissimi ristoranti, per quanto non sia più in menù dal suo inventore (che l’aveva per l’appunto lanciata come diversivo stagionale) che si sbizzarrisce in altre avventure. Per esempio, ai bordi della pizza è successo di tutto: imbottiti di boba, per massima originalità, ma anche di vari tipi di formaggio, di carne e di misti di carne formaggio e verdure, quasi una seconda pizza racchiusa nel bordo.

Spericolate

Da Pizza Hut, intanto, mentre l’attesa per le pizze brie-carne alla griglia diventa impaziente, le varie succursali continuano a sfornare pizze grandi come quasi delle pizzette, per una porzione singola –rotonda però, dato che la pizza al taglio per ora non sembra essere diffusa, forse perché Taiwan stessa ha già un ampio menù di snack di suo, molti dei quali in vendita nei famosi mercati notturni sparsi un po’ per tutte le città – grandi cerchi di pasta di pane conditi per pizze per fino a sei persone, da condividere.

La base, come dicevamo, anche nelle pizze più lontane da quelle al mango o alla boba, ha un impasto particolarmente dolce, e lo zucchero domina ogni impasto, rendendo ancora più improbabile l’appellativo “pizza” per questo tipo di alimenti. E’ chiaro, qui, che la matrice è più americana che non italiana (le basi del resto sono chiamate, sia qui che da Domino, “alla newyorchese”), ma l’attenzione che Pizza Hut ha saputo attrare con le sue pizze stagionali è basata su una spericolatezza alimentare tutta taiwanese.

In passato, infatti una delle pizze più complesse proposte agli avventori è stata una base dal bordo spezzato in diversi rotolini, in seno ai quali era accucciato un biscotto Oreo, mentre nel centro erano sistemati calamari fritti e pezzi di pollo popcorn, ovvero pollo tagliato a pezzi piccoli, impanato, e fritto con l’aggiunta di salsa di soia, vino di riso e olio di sesamo. Verrebbe da pensare che l’assurdità sia la principale attrattiva del piatto – ma questo probabilmente non è un ragionamento da taiwanesi.

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