Dentro a tutti i supermercati asiatici a est dell’India ci sono intere pareti occupate da spaghettini istantanei: classici, con pezzettini disidratati di varie tipologie di carne o pesce, di funghi, di uova strapazzate, e le immancabili alghette. Poi si sono sviluppati anche tutta una serie di spaghettini istantanei di lusso. Quelli con abalone, o funghi porcini e perfino tartufo, o con all’interno quattro o cinque sacchettini diversi di salse di soia di pregio, il migliore olio di sesamo e spezie. Nel settore spaghettini di lusso c’è anche tutto quello che serve per replicare un hot pot alla sichuanese, fumante di pepe del sichuan con quel suo aroma pungente e leggermente anestetizzante, con una punta d’agrumi, oppure brodi opalescenti fatti con il miso, rosso fiamma, al peperoncino coreano (gochugaru) o rosso più chiaro, al pomodoro, e anche in un colore ambrato intenso, al curry.

In Europa la scelta è ancora limitata, ma il successo degli spaghettini istantanei, snack perfetto per ogni momento di leggero appetito in cui non si ha voglia di cucinare nulla, che sia a merenda o a mezzanotte, lascia pensare che le varietà continueranno ad aumentare anche fuori dall’Asia.

L’inventore 

Chissà come ne sarebbe fiero Momofuku Ando, l’imprenditore che alla fine degli anni Cinquanta, in un Giappone ancora frastornato e traumatizzato dalla Seconda guerra mondiale, dagli orrori commessi e dalle catastrofi subite, lanciò i primi spaghettini istantanei, con un immediato e strepitoso successo. Il Giappone era in un periodo di transizione: l’occupazione americana era finita nel 1952, ma questo non aveva significato la fine della massiccia influenza statunitense, economica, militare, culturale e anche alimentare. E le penurie del dopoguerra stavano cominciando a scemare, aprendo la strada al futuro boom economico.

Ma separare interamente la leggenda dai fatti, quando si tratta di Momofuku Ando, non è sempre facilissimo. Proviamo a fare del nostro meglio: nato a Taiwan nel 1910, quando l’isola era territorio giapponese, Ando, come molti soggetti coloniali, ha sempre avuto una doppia identità, sia taiwanese che giapponese. Anche il prodotto che lo rese famoso ha una natura multipla: gli spaghettini sono una replica istantanea e tecnologica di una variante giapponese dei lamian cinesi, un tipo di spaghettini spesso consumato in brodo, divenuto poi ramen una volta in Giappone.

Un piatto popolare, il ramen, che si può tutt’ora consumare fino a tarda serata in ristoranti dedicati, o anche presso baracchine ambulanti. Queste si parcheggiano vicino alle stazioni della metropolitana con il retro approntato a cucina su ruote: un pentolone riscaldato per il brodo, diverse scatole e contenitori per i condimenti, altre per scaldare le aggiunte di carne o aggiunte varie che siano, e pile di ciotole da riempire davanti agli occhi clienti famelici. I ristoranti di ramen sono per lo più luoghi senza pretese, con utensili quasi sempre di plastica, e lunghi tavoli in comune, anche quando le zuppe di spaghetti sono particolarmente saporite e ricercate.

Ando, figlio di imprenditori del tessile, era solito raccontare che l’ispirazione per i ramen istantanei gli venne a Osaka, vedendo la lunga coda che si era formata fuori da uno di questi ristoranti, e rendendosi conto che impiegati e lavoratori manuali passavano la maggior parte della loro pausa pranzo in attesa di poter acquistare e consumare il loro pasto. In altre versioni più colorite della storia la coda era fuori da un ristorante che vendeva spaghettini al mercato nero, era un gelido inverno, e i lavoratori in questione erano malnutriti e affamati.

Vuoi per rispondere ad un potenziale di mercato, o per compassione per le masse infreddolite e bisognose di cibo, Ando volle studiare un sistema per pre-cuocere gli spaghetti, per poi metterli in dei sacchettini da cui potevano essere ricostituiti con l’aggiunta di acqua bollente.

Un momento propizio 

Era anche il momento giusto: fra il 1954 e il 1956 il Giappone e gli Stati Uniti avevano firmato una serie di accordi commerciali, fra cui uno in cui Tokyo si impegnava ad acquistare il grano in surplus degli Stati Uniti. A ciò, si era accompagnata un’imponente campagna promozionale del governo giapponese e di quello americano, affinché la preferenza per il riso si modificasse, e un maggior numero di persone decidessero di consumare grano – sotto forma di pane, pasta e vari prodotti da forno – assorbendo dunque le tonnellate di grano americano importate.

A guardare queste pubblicità ora, che ad essere in disgrazia è il glutine, si resta sbalorditi: gli americani avevano vinto la guerra perché si nutrivano di grano! Più alti e intelligenti, grazie a un alimento completo come il grano, contrariamente al riso che, a sentir queste, poteva perfino causare danni al cervello. Vari produttori americani di grano si recarono in Giappone a fiere commerciali o anche solo nei supermercati, a dimostrare tutte le meraviglie producibili con la farina. Nel frattempo, il riso fu tolto dai pranzi scolastici, dove divenne onnipresente il pane.

La frittura rapida

In questo contesto pro-farina, Ando si mise a sperimentare per trovare un modo per semplificare la preparazione del ramen – e dopo vari tentativi, stabilì che una frittura rapida (flash-frying) garantiva al prodotto una lunga conservazione e la capacità di reidratarsi in pochi minuti. Così nacquero i Chicken Noodles della Nissin di Ando: i primi spaghettini, commercializzati dalla fine degli anni Cinquanta in poi. Nel 1966, quando in Giappone già si vendevano un paio di miliardi di pacchetti di Chicken Noodles, Ando si recò in Europa e negli Stati Uniti per esportare il suo prodotto.

E vedendo come gli assaggiatori spezzavano i panetti di spaghettini per metterli in dei bicchieri di carta da riempire di acqua calda e mangiarli con la forchetta, gli venne l’idea pratica e disastrosa di venderli in contenitori resistenti – di plastica – con l’aggiunta di forchettine – anche queste di plastica – nel coperchio, contribuendo sia alla massima convenienza di uno spuntino di ramen, che al disastro ecologico delle plastiche monouso che soffocano il pianeta. Di nuovo, dovette ingegnarsi per trovare la migliore soluzione tecnologica: riuscendo ad incastrare il panetto di spaghettini in alto nei contenitori, che hanno una forma a bicchiere, con il fondo più stretto, in modo che il brodo li bagnasse, ma non li sommergesse, rendendoli troppo molli. 

Sempre più varietà 

Da allora ad oggi, la conquista mondiale degli spaghettini istantanei non ha fatto che consolidarsi. Malgrado gli inizi All American wheat, ora si può scegliere se si preferiscano spaghettini di grano o di riso, di patate dolci o di yam, di farina senza glutine, preparati con il metodo a frittura rapida o con cotture ad aria ritenute più salutari. Il concetto si è espanso oltre gli spaghetti, e si può optare oggi anche per ciotoline di plastica da riempire di acqua bollente per piatti invece di riso disidratato, di nuovo con ogni ben di Dio di condimenti.

Nei pasti scolastici è tornato ad essere predominante il riso, ora che il governo giapponese cerca di far aumentare il consumo di questo cereale per giustificarne le sovvenzioni, le linee aere asiatiche non sono mai prive di una selezione di spaghettini istantanei per tenere buoni i passeggeri sui voli di lunga durata. Sui social media, diversi influencer sgranocchiano i panetti di spaghettini come fossero contorti cracker, e bevono a parte la zuppa, mentre i food blogger illustrano ricette in cui gli spaghettini disidratati sono un ingrediente rapido in zuppe elaborate. L’intuizione di Ando, merenda ideale di chi preferisce snack salati, o assorbi-alcol notturni per chi è andato giù un po’ pesante, continua a diffondersi e ad essere spunto per idee nuove.

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