Nelle ultime settimane, i disturbi del comportamento alimentare (Dca) – tra cui l’anoressia, la bulimia e il disturbo da alimentazione incontrollata – sono diventati oggetto di un’animata lotta politica. Ma la confusione che si è creata, a mio modo di vedere, non ha fatto bene a nessuno.

Ricostruiamo i fatti. In un primo momento il governo Meloni aveva deciso di non rinnovare il fondo di 25 milioni per la lotta contro i Dca nella legge di bilancio 2024. Questo fondo era stato istituito dal governo Draghi nella legge di bilancio del 2022 come una erogazione eccezionale e non strutturale, ed era stato finanziato con 15 milioni di euro per il 2022 e 10 milioni di euro per il 2023, per un totale di 25 milioni di euro in due anni.

Alcune associazioni di genitori e di pazienti anti-Dca sono scese in piazza per protestare contro questo taglio ai finanziamenti, appoggiate da alcuni partiti di opposizione, tra cui il Pd e Italia Viva. Ma dire che quei 25 milioni di euro sono stati “tagliati” è sbagliato: il governo Meloni poteva legittimamente decidere di non rinnovare quel fondo, che era una tantum.

Dopo le proteste, il ministro della sanità Oreste Schillaci e il governo hanno deciso di stanziare non più 25 ma soli 10 milioni di euro per la lotta contro i Dca.

Il taglio

Certo, 25 milioni avrebbero fatto più comodo. Il governo Draghi aveva finanziato quel fondo con lo scopo di aprire ambulatori territoriali dove non c’erano e di creare una rete territoriale che potesse offrire uguali possibilità di cura a tutti i pazienti che soffrono di Dca. Grazie ad esso, erano stati assunti 780 professionisti, tra psicologi, psichiatri e neuropsichiatri infantili, infermieri, e dietisti. Ma 10 o 25 milioni di euro sono solo una piccola goccia nell’oceano.

I Dca costituiscono un enorme problema di salute pubblica. Almeno 3 milioni di persone in Italia sono affetti da Dca, 9 su 10 sono donne e quasi tutti sono giovani sotto i 25 anni di età. I Dca sono malattie psichiatriche molto gravi.

I giovani che soffrono di anoressia smettono di mangiare, sono gravemente denutriti, hanno squilibri elettrolitici così gravi da rischiare spesso un arresto cardiaco. Chi soffre di bulimia ingerisce quantità enormi di cibo che poi vomita, ma così rischia pure lui gravi squilibri elettrolitici che possono provocare l’arresto cardiaco.

Per gli individui sotto i trent’anni, i Dca costituiscono la seconda principale causa di morte dopo gli incidenti stradali: solo l’anno scorso di anoressia e bulimia sono morti 3.780 giovani, con età media 25 anni, la maggior parte a causa del deperimento organico legato alla malattia, mentre gli altri si sono tolti la vita.

I ricoveri e le comunità

Quando questi giovani rischiano la vita a causa della loro malattia - perché sono troppo sottopeso o hanno sviluppato squilibri elettrolitici troppo gravi - vengono ricoverati nei reparti di psichiatria degli ospedali pubblici, dove viene curata la loro crisi acuta: vengono nutriti per endovena, gli vengono infusi elettroliti e somministrati farmaci antidepressivi.

Ma nei reparti psichiatrici degli ospedali pubblici possono restare ricoverati al massimo per 15 giorni – un termine stabilito dalla sacrosanta legge Basaglia che impone un limite alla durata dei ricoveri psichiatrici per evitare che un paziente diventi un internato cronico – dopodiché vengono dimessi.

E dopo, dove vanno a finire questi pazienti? Molti di loro dovrebbero essere ricoverati in comunità terapeutiche per una cura che può durare mesi o anni: ma a fronte di 3 milioni di malati di Dca oggi in Italia ci sono solo 126 comunità – 112 pubbliche e 14 private accreditate – che offrono in tutto 1500 posti letto. La maggior parte delle comunità, 63 per la precisione, sono concentrate al Nord – 20 in Emilia Romagna e 15 in Lombardia –, mentre sono rare nel centro Italia e rarissime al Sud. Dopo la riforma del titolo V della costituzione varata dal governo Amato, ogni regione decide autonomamente il proprio fabbisogno sanitario – cioè quali e quanti pazienti vanno curati per ogni determinata patologia – e in base a ciò decide quali strutture pubbliche mantenere o aprire e quali strutture private accreditare.

Così, solo certe regioni del Nord riescono a garantire un numero sufficiente di posti letto per i Dca negli ospedali e nelle comunità pubbliche, perché nonostante i ripetuti tagli alla sanità sono le uniche ad avere soldi a sufficienza; invece, l’unica comunità pubblica per la cura dei Dca della Toscana, che dovrebbe ospitare 20 pazienti h 24  – Casa Mora in provincia di Grosseto, riqualificata nel 2020 con 3,75 milioni di euro – ancora non ha aperto e ospita meno di 10 pazienti in regime di day-hospital, con uno spreco notevole di soldi dei cittadini; e al sud regioni intere non hanno neanche una comunità di cura.

E poi, le giunte regionali spesso decidono di accreditare le cliniche private degli imprenditori “amici”, più numerosi al Nord, con criteri più politici che di salute pubblica. Risultato: per la cura dei Dca il ricco Nord ha diverse strutture pubbliche e private, ma sempre troppo poche, mentre in tutto il sud ci sono sì e no una cinquantina di posti letto disponibili.

E con la cosiddetta autonomia differenziata introdotta dal governo Meloni questo stato di cose non potrà che peggiorare. Invece, per la cura dei Dca bisognerebbe garantire molti più posti letto negli ospedali pubblici, e aprire molte più comunità pubbliche e private, con finanziamenti strutturali ben più imponenti che non i miseri 10 milioni stanziati dal governo Meloni.

L’ipotesi di un nuovo reato

Come se non bastasse, nella cura dei Dca governo e opposizioni rischiano di commettere a mio giudizio un altro grave errore. Nei giorni scorsi un gruppo di senatori della maggioranza – primo firmatario il senatore di Fdi Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari costituzionali – ha avanzato una proposta di legge che introduce un nuovo reato, il 580 bis, che vuole colpire “chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, determina o rafforza l'altrui proposito di ricorrere a condotte alimentari idonee a provocare o a rafforzare i disturbi del comportamento alimentare”, e lo punisce con la reclusione fino a due anni e una multa da 20.000 a 60.000 euro.

Questa proposta riprende un disegno di legge pressoché identico avanzato due legislature fa da un gruppo di deputati dell’opposizione e della maggioranza – che comprendeva Michela Marzano, Mara Carfagna, Paola Binetti e altri. La nuova e la vecchia legge intendono entrambe “punire” tutti quelli che su internet, grazie soprattutto ai siti web “pro-ana” – cioè pro-anoressia –, e “pro-mia” – cioè pro-bulimia – diffondono il messaggio che non mangiare ed essere magri è bello, che vomitare il cibo o sfinirsi di esercizio fisico per dimagrire è bene.

Ma ci sono alcuni problemi. Innanzitutto, i giovani che gestiscono questi siti sono anch’essi malati di Dca, e pensare di multare o di mettere in galera un giovane che soffre di anoressia o bulimia – e che avrebbe solo bisogno di cure – è un crimine. Sarebbe come mettere in galera un giovane depresso che decide di passare a letto le sue giornate perché istiga altri alla depressione.

Nessuno delle migliaia di pazienti che ho incontrato in questi anni mi ha confessato: «Mi sono ammalato di anoressia o bulimia guardando su Internet». Questi pazienti vanno su Internet solo dopo che si sono ammalati, e solo per trovare conforto o per confrontarsi con altri malati come loro, e vincere l’assurda gara a chi è più magra/o, che è sintomo della malattia e non una sua causa.

Come ogni esperto sa, un giovane non si ammala perché guarda Internet. Cito il Myers, il testo di psicologia usato in quasi tutte le migliori università del mondo, che recita: “L’ambiente familiare costituisce un terreno fertile per lo sviluppo dei disturbi alimentari”, perché famiglie competitive, dalle alte aspettative e protettive, che si focalizzano sul peso, sulla magrezza e sull’aspetto corporeo, e “fattori culturali e sociali” che promuovono l’idea che “magro è bello” favoriscono l’insorgere dei Dca. Questo disegno di legge cerca solo di trovare capri espiatori, perché, se noi volessimo veramente applicarlo, dovremmo mettere in galera tre quarti della nostra società.

© Riproduzione riservata