Il caso di Ikram Nazih è arrivato in parlamento. Ieri pomeriggio, durante la commissione Esteri della Camera, il sottosegretario agli Affari esteri, Manlio Di Stefano, ha risposto a tre interrogazioni parlamentari presentate sul caso dal deputato leghista Massimiliano Capitanino e dalle deputate Yana Ehm e Elisa Siragusa del gruppo misto. L’interrogazione a firma Pd, annunciata dal responsabile della politica estera dem, Emanuele Fiano, proprio sulle pagine di questo giornale, non risulta invece ancora presentata. «La Farnesina segue il caso con la massima attenzione», ha dichiarato Di Stefano e «sostiene a pieno sia la sua famiglia sia il suo avvocato».

Il processo d’appello

La giovane studentessa italo-marocchina, condannata a tre anni di carcere e a una multa per blasfemia, è rinchiusa in un penitenziario di Marrakesh ormai da un mese. La riposta del sottosegretario conferma quanto già trapelato dalle fonti diplomatiche, ossia che la giovane è seguita regolarmente dalle nostre autorità: il console generale l’ha visitata in carcere due volte, il vice console onorario una, mentre il 23 luglio scorso a incontrare la giovane è stato lo stesso ambasciatore italiano in Marocco, Armando Barucco. La Farnesina rassicura anche che Ikram è in buone condizioni fisiche e psicologiche e che il Consolato generale a Casablanca sta monitorando lo stato di salute della ragazza attraverso il proprio medico di fiducia. Dalla risposta di Di Stefano emergono anche nuovi particolari. Sul piano giudiziario la novità più rilevante è che il processo di secondo grado, atteso inizialmente per la fine di questo mese, potrebbe slittare. La Farnesina non è ancora al corrente della data e prevede che potrebbe celebrarsi «nelle prossime settimane».

Quindici minuti

La giovane è stata fermata il 19 giugno, e non il 20 come risultava in un primo momento, al suo arrivo all’aeroporto di Marrakesh. Sul post Facebook che sta alla base delle accuse di oltraggio all’Islam – un gioco di parole che trasformava la sura del Corano, detta dell’abbondanza, in sura del whisky – Ikram avrebbe affermato «di non averlo scritto e di aver condiviso sul proprio profilo Facebook solo una foto raffigurante una pagina del Corano, il cui contenuto era stato alterato».

Una card, quindi, che, come dichiarato dalla giovane, è stata rimossa dopo 15 minuti «perché avvertita da altri della gravità del suo contenuto». Quei 15 minuti in cui il post è rimasto nella sua pagina, in ogni caso, sono risultati fatali per Ikram perché le sono valsi una denuncia da parte di un’associazione islamica, presentata al foro di Marrakesh.

Negli ultimi giorni le iniziative a favore di Ikram, nata a Vimercate (Monza e Brianza) da genitori marocchini e oggi residente a Marsiglia dove frequenta la facoltà di giurisprudenza, si sono moltiplicate. La petizione per la sua liberazione postata da Domani su Change.org ha raccolto più di 800 firme mentre Riccardo Noury di Amnesty International, organizzazione che segue il caso dall’ufficio regionale di Tunisi, ha pubblicato un video su Twitter. «La condanna per Ikram è ingiustificata e deve essere annullata al più presto», ha detto Noury. «Sono sempre di più i governi che controllano le attività dei cittadini sui social e aspettano la prima occasione per punirli».

Le reazioni politiche

Anche i parlamentari che hanno portato il caso in Commissione vorrebbero uno sforzo in più da parte della Farnesina. «Abbiamo domandato al ministero un ulteriore impegno nel dialogo con le autorità marocchine, per arrivare almeno alla concessione dei domiciliari alla ragazza», spiega Capitanio, il primo a sollevare il caso in parlamento. «Chiediamo anche un approfondimento per capire se quello di Ikram sia un caso isolato o se sia in corso un monitoraggio, anche attraverso i social network, dei comportamenti e delle libertà dei cittadini con doppia cittadinanza, perché questa seconda ipotesi sarebbe grave e preoccupante». Stessi toni dalle deputate Yana Ehm ed Elisa Siragusa, firmatarie delle altre due interrogazioni sull’arresto e la detenzione della ragazza. «Il caso di Ikram rischia di diventare uno Zaki bis, ma non possiamo e non dobbiamo permetterlo», hanno dichiarato. «Il nostro lavoro proseguirà serrato e senza sosta anche nei prossimi giorni, affinché Ikram possa essere liberata e tornare al prima possibile ad abbracciare i suoi familiari».

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