Koji Watanabe, il presidente di Honda Racing, ha da poco tranquillizzato tutti. Ha detto che un’uscita di Honda dalla MotoGp «non succederà mai, non ci ritireremo mai». È dura credergli per come stanno andando le cose. Negli ultimi quattro anni la Honda ha raschiato il fondo: zero vittorie senza il suo pilota di punta Marc Márquez, appena 5 podi con tutti gli altri. Non si era mai vista una roba del genere.

Negli ultimi 40 anni - dal primo titolo di Freddie Spencer nella 500 del 1983 dopo il ritiro dalle competizioni negli anni 60 - Honda non era mai uscita a bocca asciutta dalle gare nella classe regina. La parabola non accenna a risollevarsi verso l’alto.

Al Red Bull Ring, in Austria, dove si è corsa l’ultima gara di questo Mondiale 2023, per la prima volta in stagione Márquez è arrivato a vedere una bandiera a scacchi. Ci ha messo dieci gran premi. Un’eternità. «Quando sei così lento è facile entrare in una spirale negativa», ha detto scuotendo la testa (salvo poi celebrare il traguardo su Twitter). Se la Honda piange, la Yamaha non ride.

Fabio Quartararo è ormai un diablo sottoghiaccio, il feeling con la moto è più simile a un’agonia, la lotta con i piloti di vertice è diventata impari. Il francesino che fino all’anno scorso aveva fatto gomito a gomito per il titolo con Pecco Bagnaia, oggi è solo un altro degli infelici. La sua Yamaha ha messo insieme 73 punti, in classifica generale Fabio fluttua all’11esimo posto. «Bagnaia è imbattibile - ha detto Fabio -, è un po’ come Max Verstappen in Formula 1».

La crisi delle case motociclistiche giapponesi non è un affare di poco conto. È complesso trovare una ragione sola. Livio Suppo, uno dei migliori manager sportivi della MotoGP (due suoi piloti, Stoner e Marquez, hanno vinto 6 mondiali con Ducati e Honda), ha sguardi profondi e più attenti. «I motivi di questa crisi sono diversi.

Uno è molto legato al fatto che hanno creduto meno delle case europee, soprattutto Ducati e Aprilia, ma anche Ktm, nell’aerodinamica». Il mondo dei motori, come la scienza, è sempre un passo avanti.

Se vuoi competere devi sperimentare, studiare, innovare. Il grande nome non basta. Per anni Honda ha steso un velo sulla superficie delle cose: Márquez vinceva (6 titoli in 7 anni), mentre piloti come Crutchlow e Pedrosa sollevavano questioni e dubbi. «Mettevano in piazza i problemi, ma era più facile dire che non andavano forte rispetto a Márquez.

È stata sottovalutata la differenza che faceva Marc». Quando lo spagnolo ha poi avuto l’infortunio nel 2020 che ha stravolto la sua carriera, molti dei problemi sotto il telaio della Honda sono venuti a galla.

L’ultimo Mondiale sta allungando l’ombra della crisi. «I giapponesi stanno cercando di correre ai ripari. Ma sono indietro anni rispetto agli altri. Ora in Giappone stanno cercando di copiare. Però l’aerodinamica - va avanti Suppo - influenza il settaggio della moto e molto altro ancora. Ci vuole tempo per trovare un bilanciamento. Gli altri ci hanno lavorato per anni».

Il bisogno di programmazione

In Giappone questa crisi è vissuta come una specie di shock. Per l’assenza di vittorie dal punto di vista sportivo, ma soprattutto perché appare una strada senza via d’uscita. Almeno nel breve termine. Nel 2022 Suzuki, il terzo dei tre colossi made in Japan sulle moto, ha scelto di lasciare l’universo della MotoGp. Bastò una nota: «Suzuki ha deciso di porre fine alla sua partecipazione a MotoGP ed EWC per la necessità di redistribuire le proprie risorse ad altre iniziative per la sostenibilità».

Appena due stagioni prima, nell’anno del centenario, Joan Mir aveva conquistato il titolo di campione del mondo. C’è dunque qualcosa di più profondo dietro questo momento no dei motori giapponesi, tocca l’antropologia, non solo l’ingegneria e l’elettronica.

Se case europee come Ducati (che sta ormai dominando in lungo e in largo) e Aprilia hanno visto l’emergenza come una forma di possibilità, affidandosi alla genialità e al talento, il bisogno di programmare radicato nella cultura giapponese è stato un muro. Soprattutto negli ultimi anni. Le case europee, dice ancora Suppo, «sono state più sveglie e hanno interpretato in maniera più aggressiva le zone grigie del regolamento per sviluppare innovazioni».

La distanza e l’assenza

Nel 2014 vennero approvati dalla GP Commission l’uso obbligatorio della centralina elettronica e il software unico Dorna (entrato poi in vigore nel 2016). Come passare dall’uso del Mac a quello di Windows in un tempo brevissimo. Solo che sulle moto è tutto più complesso.

Ai tempi le case europee sembravano già pronte all’impatto, le giapponesi no. In quei giorni Shuhei Nakamoto, all’epoca presidente di Honda Racing, arrivò a paventare l’extrema ratio di un ritiro della casa dalle corse. «Siamo al mondiale perché siamo interessati a sviluppare la moto.

Se non possiamo farlo, perdiamo la nostra motivazione per continuare a correre», diceva. Fu una prima crepa che ha poi squarciato il mondo delle due ruote e aperto nuove frontiere, alcune innovative e interessanti. Eppure, chiarisce Suppo, «dieci anni fa Honda era molto più avanti nell’elettronica». A questi fattori va aggiunta l’assenza di figure carismatiche. Capi come Nakamoto. Ma anche Masao Furusawa, l’uomo che portò Valentino Rossi in Yamaha.

Fu lui a convincere la dirigenza che era indispensabile avere un pilota top per puntare al mondiale. Oggi i reparti corse sono guidati da manager troppo distanti delle officine. Ma non esiste una cesura storica, né un momento fatale. Troppe cose sono cambiate negli ultimi tre, quattro anni. Alcune gradualmente, altre meno. Spiega Suppo che «si è modificato il metodo di lavoro, ma i giapponesi l’hanno capito in ritardo. La Ducati ha imposto un sistema moderno».

Per quelli di Borgo Panigale ai box comandano gli ingegneri, e il rapporto con il reparto corse è diretto e costante. I giapponesi pagano la distanza dai loro uffici tecnici dato che la maggior parte delle gare si svolge in Europa. In Giappone hanno puntato troppo a lungo su figure qualche volta superate. Se nella migliore delle ipotesi l’assenza di successi confina all’anonimato, nella peggiore arrivare dietro significa farsi cattiva pubblicità. Anche la gestione mediatica scricchiola. Recentissima è la questione del “telaio Kalex”, una specie di wikileaks del settore.

Per settimane aveva fatto rumore l’idea che Honda, un colosso che vende 17 milioni di moto all’anno, si fosse fatta costruire un telaio in Germania. Ma tutte le aziende affidano l’appalto dei componenti. I mal di pancia dei piloti non aiutano. «L’immagine fa molto. Nakamoto diceva che our sponsor is Honda Motor: se le aziende chiudono i rubinetti, i reparti corse non hanno soldi. Le corse sono più o meno importanti secondo quello che i gran capi pensano», dice Suppo.

Anche se non sembra, dietro questa crisi giapponese c’è tutta la MotoGp. Il gap che si è creato tra le scuderie è enorme e il cerchio dello spettacolo si sta restringendo sempre di più. Senza giapponesi, un duello italo-spagnolo non può bastare.

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