Un gol ha dato l’eternità ad Andreas Brehme, ma sono state le migliaia di cross dalla sinistra a fare di lui un grande del calcio tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. Era infallibile. Girava una battuta nelle sale stampa dell’epoca, diceva che prima o poi sarebbe stato necessario scrivere un pezzo sul decimo anniversario dell’ultimo che aveva sbagliato, tanto il ricordo si perdeva nelle nebbie del tempo.

Brehme è morto per un attacco cardiaco a 64 anni. Era un pezzo dell’Inter dei record di Trapattoni (scudetto 1989), l’Inter dei tedeschi con Klinsmann e Matthäeus. L’eternità gli viene dal rigore segnato all’Olimpico di Roma contro l’Argentina, nella finale mondiale del 1990 che riportò il titolo in Germania a sedici anni di distanza da quello vinto in casa, ma soprattutto lo portava nella Germania finalmente unita.

Sette mesi prima era caduto il Muro di Berlino. La DDR aveva perso l’ultima partita di qualificazione per Italia ’90, la Germania ovest poteva cassare l’aggettivo geografico di specificazione, con Franz Beckenbauer cittì sentiva per la prima volta di rappresentare tutto il paese.

Brehme rimase in piedi, calmo e concentrato davanti al dischetto, mentre la telecamera lo inquadrava e gli argentini indignati discutevano con l'arbitro Edgardo Codesal. Mancavano cinque minuti alla fine, cinque minuti ai supplementari, e invece il Mondiale finiva così, con un fallo sul quale si discute ancora dopo oltre trent’anni.

Brehme restò impassibile e mise la palla in porta, alle spalle di quel Goycochea che ne aveva parati due in semifinale a Donadoni e Serena, contro l’Italia. Aprì il piatto destro e segnò così, lui che crossava col sinistro, il miglior ambidestro del suo tempo. Fu iconica pure la foto nel giorno della sconfitta più amara, in lacrime, retrocesso in B con il Kaiserslautern abbracciato al vecchio amico Völler che lo aveva battuto. L’Inter lo ha ricordato con il lutto in campo ieri contro l’Atlético Madrid.

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