Marcello Minenna, per anni potente direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli in quota M5s, e oggi assessore nella giunta di centrodestra in Calabria, è stato raggiunto da un avviso di conclusione delle indagini, preludio alla richiesta di rinvio a giudizio. Minenna era già finito al centro delle cronache a seguito della presentazione di due esposti. Il primo dell’ex vicedirettore Alessandro Canali, un avvocato un tempo vicinissimo al direttore dei Monopoli, e l’altro dell’ex finanziere Roberto Fanelli. Vicende per le quali Minenna era stato anche iscritto nel registro degli indagati per il reato di abuso d’ufficio (il Corriere dà conto di un’archiviazione), mentre un altro filone è in mano al pm anticorruzione Fabrizio Varone.

La questione giudiziaria per la quale la procura ha concluso le indagini è però un’altra ancora, e incrocia uno degli episodi raccontati dalle inchieste di Domani, e in particolare il rapporto tra l’ex grillino con un suo ex funzionario: Miguel Martina, difendendosi da gravi sospetti, ha convinto i magistrati ad agire non contro di lui, ma contro Minenna che lo accusava.

La guerra di Minenna

La posizione giudiziaria di Minenna è seria, visto che l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, firmato dai pubblici ministeri Antonia Giammaria che ha condotto l’inchiesta e dall’aggiunto Michele Prestipino, lo vede indagato per minaccia e per il reato di calunnia che prevede pene da 2 a 6 anni di carcere.

Quella ricostruita nell’atto della procura di Roma è una vicenda di un presunto abuso di autorità e di potere, che di fatto Minenna avrebbe commesso minacciando un dipendente per fargli rivelare notizie coperte da segreto istruttorio e atti coperti da indagine.

Contemporaneamente, emerge l’immagine di un’Agenzia delle dogane e dei monopoli che, sotto la guida di Minenna, voluto da Beppe Grillo e Luigi Di Maio, è diventata una caserma agli ordini di un solo generale.

Martina aveva fatto diversi accessi nella banca dati perché stava indagando – dopo aver ricevuto una delega dall’autorità giudiziaria di piazzale Clodio -sull’approvvigionamento di mascherine forse non regolari da parte della Protezione civile. Vicenda sulla quale l’autorità giudiziaria sta svolgendo ulteriori ed accurate indagini.

Quando Minenna è stato informato di quest’attività, avrebbe avviato una guerra contro Martina.

In quei mesi del 2020, ipotizza il documento dell’accusa, cercava di «costringerlo a compiere atti contra ius, cioè a rivelargli indebitamente notizie coperte dal segreto istruttorio, con particolare riguardo sia alle indagini che il Martina stava conducendo (...) sia ai soggetti dipendenti di quest’ultima (agenzia, ndr) coinvolti nelle predette indagini», si legge nell’atto.

Minenna, pur di raggiungere il suo obiettivo, a seguito del diniego di Martina di dare informazioni segrete, si rivolge a un suo fedelissimo, Alessandro Canali, all’epoca vicedirettore dell’Agenzia, chiedendogli di licenziarlo.

Canali, che successivamente sarà lui stesso cacciato dall’Agenzia e presenterà per altre vicende un esposto contro Minenna, rifiuta però di eseguire l’ordine. Così il direttore si rivolge a Gianfranco Brosco, ottenendo lo stesso rifiuto alla richiesta di ritiro delle password.

Minenna non si scompone e continua la sua crociata ottenendo il ritiro delle password di accesso dalla direzione generale e trasferendo poi Martina, senza alcuna apparente giustificazione, all’ufficio giochi dell’agenzia fiscale.

La vicenda ha anche un altro snodo che rappresenta per l’ex direttore la contestazione più spinosa in sede giudiziaria, quella di calunnia. Un reato che si contesta quando un soggetto nella piena consapevolezza della verità dei fatti accusa un’altra persona di un delitto che, in realtà, non ha commesso.

In questo caso, Minenna avrebbe indotto in errore Maurizio Montemagno, direttore generale dell’agenzia, che contro Martina ha presentato una denuncia per accesso abusivo alla banca dati «incolpandolo falsamente, pur sapendolo innocente, di aver effettuato interrogazioni ai predetti terminali senza alcuna autorizzazione, mentre, al contrario, era pienamente a conoscenza della legittimità di quegli accessi», si legge.

Lettere

Montemagno, lo scorso novembre, dopo aver letto una delle puntate dell’inchiesta sul re delle dogane realizzate da Domani, ha deciso di scrivere alla procura di Roma.

Nella missiva, Montemagno racconta che Minenna, in un incontro risalente all’aprile 2020, si era mostrato «subito particolarmente innervosito, ci portò a conoscenza di avere appreso dalla procura della Repubblica di Roma (senza specificare da chi) che un dipendente dell'Agenzia – tale Miguel Martina - avrebbe sostenuto (non disse in quale circostanza) di poter condizionare le scelte non solo del suo direttore interregionale, ma di poter manovrare lo stesso direttore dell’agenzia», si legge.

«In sede di audit, Martina non ha mai affermato espressamente che gli accessi erano stati da lui effettuati su delega dell'autorità giudiziaria fornendo risposte sibilline che lo lasciavano intendere, senza tuttavia fornire alcun estremo (...) lo scrivente, a motivo soprattutto dell'insistenza/pressione operata da Minenna (…) mise a punto una notizia di reato nei confronti di Martina ipotizzando accessi abusivi ai sistemi informatici, pur rappresentando nella parte finale della stessa che naturalmente sarebbe venuto meno ogni addebito in presenza di delega da parte dell'autorità giudiziaria», si legge nella lettera, risalente allo scorso novembre.

Minenna aveva dovuto affrontare, prima del caso Martina, anche le accuse mossegli dall’ex braccio destro, Canali, che aveva presentato un esposto per i viaggi in hotel di lusso, in giro per l’Italia, che l’ex direttore aveva effettuato in compagnia di una dipendente, Patrizia Bosco, sua fedelissima diventata capo delle relazioni istituzionali. Esposto che ha portato accurate indagini della Guardia di Finanza, che ha scoperto che – prima di essere chiamata da Minenna alle Dogane – i due si frequentavano durante alcuni week end in Sicilia. Ad ora non è ancora chiaro se l’indagine di Claudia Terracina, però, porterà o meno a accuse specifiche o si concluderà con un’archiviazione.

Fanelli, alto dirigente dei Monopoli da poco andato in pensione, ha invece accusato Minenna di aver girato 152mila euro con un affidamento diretto al geometra Giorgio Paciucci. Che, ha scoperto poi Domani, in passato è partito in vacanza in compagnia proprio di Minenna. Destinazione Messico.

Di recente, il geometra ha seguito i lavori di ristrutturazione della casa privata del direttore. Si tratta di certo di un conflitto di interesse macroscopico. «Marcello Minenna ha speso milioni tra divise, loghi in marmo sul pavimento, ha organizzato banchetti, usa una camera da letto realizzata nella sede di piazza Mastai», ha aggiunto Fanelli in una denuncia parallela inviata alla Corte dei conti qualche mese fa. La procura indaga, la giustizia contabile anche e un faro sul regno Minenna è stato acceso anche dagli ispettori della Ragioneria generale del ministero dell’Economia.

Sono tante le vicende sulle quali fare luce come i lavori effettuati nella sede dell’agenzia: gli infissi nuovi, le porte di lusso, il rifacimento del terrazzo, la nuova stanza per i riposi del direttore. Senza dimenticare il capitolo relativo ad automobili di grossa cilindrata sequestrate dai Monopoli e poi finite non solo in uso a ministri del governo Draghi, ma pure ad amici dell’università di Minenna come Andrea Villotti, presidente di una spa del Trentino, che ha avuto in consegna dal direttore una Porsche Mecan.

Nuovi inizi

Il regno di Minenna alle Dogane è finito nel gennaio di quest’anno, ma è subita iniziata l’esperienza in regione Calabria come assessore all’Ambiente della giunta guidata dal forzista, Roberto Occhiuto. «Ho conosciuto Minenna negli scorsi mesi, durante il suo mandato alla guida dell’agenzia delle Dogane, e collaborandoci ho potuto apprezzare le sue qualità, le sue competenze, la sua determinazione. Agirà da tecnico nell’esclusivo interesse del nostro territorio».

Al posto dell’amico di Grillo alle Dogane, organismo fiscale che conta un personale di circa 10 mila unità, il governo di destra guidato da Giorgia Meloni ha voluto Roberto Alesse, che era da poco diventato capo di gabinetto del ministro Nello Musumeci. Docente della scuola superiore della pubblica amministrazione, per adesso non ha dato soddisfazione a chi sperava, dentro l’agenzia, in un cambio ai vertici.

Il neo direttore ha infatti dato agli ex fedelissimi di Minenna, Stefano Saracchi e Rocco Flore, le direzioni centrali più importanti e strategiche. «Non abbiamo perso, ci hanno letteralmente demolito», spiega un dirigente che al tempo si opponeva al dominio di Minenna, e che sperava che la destra facesse – conquistato il palazzo – un cambio radicale del personale apicale. Lo spoils system li ha invece stupiti in negativo.

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