È morto Matteo Messina Denaro. Aveva 61 anni, le sue condizioni sono precipitate nella notte. 

Adesso che non c'è più, ora che è caduto per sempre quell'alibi che è stato a lungo Matteo Messina Denaro, finalmente qualcuno - si spera - comincerà a indagare su chi è il padrone della mafia di Trapani e forse della Sicilia intera.

Tempo dietro a lui ne hanno perso tanto per prenderlo (e anche soldi, moltissimi soldi per finanziare missioni infinite a schiere di investigatori a caccia perenne del latitante) ma di sicuro hanno perso tempo - sempre a causa sua - nell'aggiornare le mappe criminali e scoprire chi comanda veramente in quella che è la provincia più misteriosa dell'isola.

Dai tempi del prefetto Mori

Quando l'hanno catturato, il 16 gennaio scorso, abbiamo scritto che era «un quasi morto di una mafia già morta da vent'anni», ora che è morto per davvero questo mafioso ci lascia in eredità un bel po' di segreti che sono seppelliti chissà dove e probabilmente non solo nei covi mai trovati di Castelvetrano o di Campobello di Mazara.

Per avere fatto il ricercato di lusso per trent'anni, Matteo Messina Denaro - figlio di don Ciccio che era un capo mandamento e quindi lui, suo figlio, un predestinato - ha potuto contare su appoggi e coperture che gli hanno permesso di sfuggire a operazioni poliziesche e retate che non si vedevano in Sicilia dagli Anni Venti del secolo scorso, dai tempi del prefetto Cesare Mori.

Fortunato a scansare i blitz ma anche esageratamente difeso, tenuto al riparo permanentemente dal maggio del 1993, i giorni delle bombe ai Georgofili di Firenze. Matteo Messina Denaro ha potuto godere di grandi protezioni, orizzontali e verticali. Delle orizzontali, quelle basse, abbiamo sempre saputo tutto. Delle altre, quelle verticali, niente.

I noti favoreggiatori

Diciamo che uno degli elementi decisivi per capire chi è stato Messina Denaro, il peso che ha realmente avuto nell'organizzazione criminale (e come è dolcemente scivolato in trappola) è proprio questo: le sue protezioni. Delle prime, le orizzontali, conosciamo nomi, cognomi, indirizzi e perfino la misura del collo per la taglia della camicia e il gruppo sanguigno di ogni favoreggiatore a lui vicino o vicinissimo, di ogni paese intorno alla sua Castelvetrano, amici del padre e parenti della madre, messi comunali, nipoti, zie, sorelle, secondi e terzi cugini, benzinai, tabaccai, pescivendoli, carnezzieri e naturalmente anche medici che l'hanno avuto in cura in tutti i sensi. Da latitante, da malato e da malato latitante.

Non ci sono e non ci sono mai stati misteri sul cerchio magico locale di Matteo Messina Denaro, l'ultimo dei Corleonesi che se n'è andato a sessantuno anni dopo un cancro che di fatto l'ha portato alla resa.

Il problema è piuttosto l'altro: le sue protezioni verticali, quelle alte. Nulla abbiamo saputo dal 1993 in poi, nulla abbiamo saputo neanche dal 16 gennaio 2023 quando lui è finito in cattività dopo che i carabinieri del reparti speciali l'hanno circondato davanti a una clinica di Palermo.

Quello che ci era stato presentato troppo precipitosamente come l'erede del capo dei capi Totò Riina, troppo enfaticamente come il rappresentante unico della mafia 3.0 o 4.0, troppo retoricamente come il simbolo della guerra che lo stato ha combattuto e vinto contro la Cosa Nostra, alla fine si è rivelato un boss a scartamento ridotto piegato dalla malattia che l'ha costretto ad abbassare la guardia, un capoclan snobbato pure dai suoi compari che non l'invitavano più neanche ai summit, una caricatura rispetto al personaggio per certi versi leggendario che era stato dipinto dalle veline e dalle cronache.

Con addosso un montone da gigolò anni '70, il Viagra sul comodino della camera da letto, le calamite del Padrino sul frigorifero, i selfie con il chirurgo che l'aveva operato, i messaggini con le pazienti che aveva conosciuto in corsia e quegli altri con le amiche che aveva rimorchiato fra una seduta di chemioterapia e l'altra.

È tutto quello che abbiamo di lui, di Matteo Messina Denaro chiamato con trasporto dai suoi "Testa del'Acqua” per indicarlo come l'origine di ogni cosa. È un po' poco.

Ma c'è dell'altro, e di non irrilevante, sui fiancheggiatori di Matteo che non fanno tornare i conti. Questi favoreggiatori, sebbene molto noti agli investigatori di ogni forza di polizia,
sono stati presi tutti dopo di lui e non prima, ci riferiamo ai vari Tumbarello, Bonafede e Luppino, medici curanti, autisti, fornitori di identità.

Conti che non tornano

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Cosa significa? Che i carabinieri non sono arrivati al latitante seguendo le tracce dei suoi fiancheggiatori storici (nessuno li controllava, nessuno aveva mai pensato di seguirli?) ma, al contrario, prima sono arrivati al superlatitante e poi a loro. Molto singolare per quelli che sono i protocolli investigativi. Ragionamento ci riporta a come Matteo Messina Denaro è scivolato nella rete del Ros, il raggruppamento operativo speciale dell'Arma.

Le polemiche non sono mancate, come nemmeno le tesi complottistiche su una possibile trattativa (a nostro avviso inesistente) fra mafia e stato con obiettivo la consegna del latitante. C'è stato uno scontro a distanza abbastanza incandescente fra i vecchi magistrati della procura di Palermo, Roberto Scarpinato e Antonio Ingroia fra gli altri, e il nuovo capo Maurizio De Lucia che ai suoi colleghi ha risposto stizzito: «C'è chi non fa indagini da dieci anni e ci vuole dire come si fanno».

E, a proposito della presunta resa di Matteo Messina Denaro: «Da noi è sempre così, se si vincono i campionati del mondo di calcio è perché qualcuno ha comprato la partita». Nervi tesi, forse anche un po' troppo.

E parole che comunque non spiegano l'arresto “facile” del latitante del quale siamo stati testimoni oculari davanti alla clinica La Maddalena nel quartiere palermitano di San Lorenzo, un arresto che abbiamo definito "senza stress”, morbido, quasi telecomandato. Le immagini amatoriali diffuse raccontano tanto, forse più di cento rapporti giudiziari.

Detto questo, lo ripetiamo: non abbiamo mai creduto a una trattativa stato-mafia quanto piuttosto a una trattativa mafia-mafia con qualcuno che ha “consigliato” a Matteo Messina Denaro di non provocare più disturbo con la sua fuga che tanto scompiglio stava portando dentro Cosa Nostra. Assai verosimile è lo stesso racconto che fornisce l'interessato, il latitante catturato: «Mi avete preso per la mia malattia». Ci sta.

E senza nulla togliere alle indagini dei carabinieri, che sono andate avanti per anni e anche negli ultimi mesi come dovevano andare. Le due versioni non sono in contrapposizione, ecco perché non si capisce la suscettibilità degli inquirenti ogni qualvolta si sostengono o scrivono delle ovvietà che non avrebbero bisogno di alcun commento. Semmai l'unico punto controverso è quello intorno al ritrovamento di un pizzino, nascosto nella gamba di una sedia in una stanza della casa di Rosetta Messina Denaro, la sorella del boss.

Un bigliettino sul quale sarebbero state annotate le condizioni di salute del fratello e le evoluzioni della sua malattia. La casa di Rosetta, nella divisione dei compiti, era sotto osservazione della polizia ma poi sono entrati in scena improvvisamente anche i carabinieri del Ros.

Maghi e coincidenze

Era il 6 dicembre del 2022, momento di svolta della caccia a Matteo Messina Denaro a sentire gli investigatori. Giusto una settimana dopo, il 14 dicembre, al carcere milanese di Opera si è presentato per scontare la pena l'ex sottosegretario all'Interno Antonino D'Alì, accusato di avere sostenuto in più riprese la mafia trapanese. Un altro momento di svolta, a sentire invece gli osservatori più maliziosi delle vicende siciliane.

Ma inseguendo suggestioni e ombre potremmo anche arrivare alle profezie di Salvatore Baiardo, il famoso gelataio di Omegna legatissimo ai fratelli Graviano di Brancaccio che già nel novembre scorso aveva annunciato a Massimo Giletti negli studi di Non è l'Arena l'imminente cattura di Matteo Messina Denaro.

Maghi legati a boss stragisti, ex sottosegretari amici di capicosca, pizzini che prima nessuno aveva visto e che poi vengono miracolosamente ritrovati, intorno a Matteo Messina Denaro ci sarà ancora tanto da scrivere. E magari qualcuno ci spiegherà un giorno come è rimasto libero per trent'anni.

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