Cesare Paladino, gestore del Grand Hotel Plaza, struttura a cinque stelle in via del Corso a Roma, ha ottenuto la revoca della sentenza di patteggiamento per peculato sfruttando un articolo del decreto rilancio, voluto dal governo Conte, e convertito in legge dal parlamento. Paladino è il padre di Olivia Paladino, compagna di Giuseppe Conte, presidente del Consiglio. Le opposizioni, e non solo, parlano di legge ad personam.

La vicenda inizia con l’iscrizione nel registro degli indagati di Paladino perché dal 2014 al 2018, da albergatore, non ha versato la tassa di soggiorno nelle casse del comune di Roma. Nel giugno 2018, il gip capitolino Giovanni Giorgianni, su richiesta della procura di Roma, ha proceduto al sequestro preventivo di due milioni di euro nei confronti dell’imprenditore. A Paladino, accusato di peculato, viene sequestrata la cifra corrispondente ai mancati versamenti. Nell’aprile del 2019 la procura capitolina chiude le indagini, all’orizzonte si prefigurava un processo, una possibile condanna, e il blocco di due milioni di euro sul conto corrente. Così Paladino, difeso dall’avvocato e professore Stefano Maria Bortone, ha scelto una linea difensiva che ha accorciato i tempi, sbloccato i conti e chiuso la vicenda.

Nel luglio del 2019 l’imprenditore ha patteggiato davanti al gup di Roma una pena a un anno due mesi e 17 giorni per l’accusa di peculato. Paladino ha restituito le somme e ha risarcito il comune. La storia giudiziaria che sembrava chiusa, però, si riapre visto che lo scorso marzo il governo Conte ha varato un decreto, poi convertito in legge dal parlamento, che interviene sulla materia. Nei casi di mancato versamento della tassa di soggiorno si passa dal peculato a una semplice sanzione amministrativa. L’articolo 180, nei fatti, risolve una questione che si era posta riguardo al ruolo del gestore della struttura ricettiva che non è più un incaricato di pubblico servizio e, da qui, la violazione diventa punibile con una sanzione amministrativa e non più facendo ricorso al codice penale e al reato di peculato. Così la difesa di Paladino presenta, lo scorso luglio, l’istanza di incidente di esecuzione, contro il quale si oppone la pubblica accusa, il procuratore aggiunto Paolo Ielo. La sentenza del Gup Bruno Azzolini dà ragione alla tesi dell’avvocato e torto agli inquirenti. Con questa sentenza si revoca la sentenza di patteggiamento e si ripulisce la fedina penale dell’imprenditore.

La retroattività della norma

Nel provvedimento si legge che: «Non può dubitarsi che abbia compiuto una valutazione “politica”, privando di rilevanza penale la fattispecie». Un riferimento alla volontà del legislatore di non gravare su un settore, quello alberghiero, in profonda crisi, aggravata dalla pandemia. Sulla questione gli orientamenti dei giudici sembrano andare in direzioni opposte, alcuni in linea con la decisione del giudice Azzolini, altri no. Tutto ruota attorno alla retroattività della norma e all’applicazione dell’articolo 2 del codice penale che stabilisce: «Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato». Per un orientamento non è applicabile la retroattività perché la norma ha mutato solo il ruolo dell’albergatore che non è più un agente contabile e quindi pubblico ufficiale, depenalizzando solo quella condotta, ma non il reato.

I precedenti

Anche nel caso di Ischia, raccontato a novembre, Luana Romano, giudice per le indagini preliminari, aveva accolto la richiesta di sequestro per equivalente a carico di 16 albergatori indagati per peculato per violazioni commesse prima dell’entrata in vigore del decreto rilancio, un caso analogo a quello di Paladino.

Richiamando una sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, il giudice, firmando il decreto di sequestro, ha così concluso: «Alla luce delle su esposte considerazioni deve dunque concludersi nel senso che la modifica introdotta con il dl 34 (il decreto legge rilancio, ndr) non abbia determinato la esclusione della rilevanza penale della condotta del gestore della struttura ricettiva che omette il versamento dell’imposta di soggiorno ai comuni per il passato». Quello che vale a Napoli non vale a Roma dove anche in altri casi si è seguito l’orientamento giurisprudenziale sostenuto anche dalle difese.

«È stata una decisione correttissima dal punto di vista giuridico, ma anche coraggiosa, non ha seguito né l’orientamento della propria procura, né l’orientamento di una precedente pronuncia della cassazione superando filoni interpretativi che poco hanno a che fare con il diritto», dice l’avvocato Stefano Maria Bortone, difensore di Paladino.

La notizia della revoca del patteggiamento, ricostruita dal Corriere della Sera, ha provocato qualche reazione politica anche interna alla maggioranza.

«Grazie a una norma del governo Conte (inserita in un decreto sulla pandemia), il suocero di Conte si è visto revocare la condanna precedentemente patteggiata per aver evaso 2 milioni di euro di tassa di soggiorno. Chissà che ne pensano Grillo, M5s, Anac, Antitrust. Se lo avesse fatto qualunque altro presidente del Consiglio, cosa sarebbe successo?», ha scritto sui social Michele Anzaldi, deputato di Italia viva, che si è detto pronto a portare il caso in aula. La vicenda, in realtà, non è chiusa del tutto. La procura di Roma, così come già fatto in altri casi, ha deciso di presentare ricorso in Cassazione contro la revoca del patteggiamento.

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