I test psicoattitudinali per i magistrati hanno fatto esplodere un nuovo scontro tra toghe e politica, con toni molto alti da entrambe le parti. L’ex procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, li censura anche se a usarli è stato un suo ex collega, anche se «il clima è quello di una delegittimazione della magistratura, perché è chiaro che nemmeno il governo crede all’attuabilità di questi test».

Cominciamo dal principio, i test psicoattitudinali per i magistrati servirebbero?

L’iniziativa dei test ha una sua suggestione, il problema è che per la professione specifica del magistrato non ne esistono di attendibili. Non lo dico io, ma lo hanno spiegato già vent’anni fa autorevoli psichiatri italiani. La ragione è semplice: nessun test può misurare ciò a cui il decreto punta, ovvero l’equilibrio del magistrato. L’equilibrio, infatti, si può valutare solo sul campo, esaminando i provvedimenti e i comportamenti del magistrato nell’esercizio delle sue funzioni. Sarebbe bello se ci fosse un metro, ma non esiste.

Così il governo sta delegittimando la magistratura?

Il clima è assolutamente questo, e si esprime in molte dichiarazioni di questi giorni. E questo mi sorprende: tutti dovremmo adoperarci per migliorare il funzionamento della giustizia e professionalità della magistratura.

Gratteri ha risposto che allora i test andrebbero fatti anche ai politici, e non solo i test psicoattitudinali ma anche quelli per alcool e droghe.

Non so se sia stata una provocazione. Constato però che, quando si è molto protagonisti sui media, rischia di sfuggire la frizione. Condivido che è in atto una delegittimazione della magistratura, ma la replica è pessima: la risposta non può essere la delegittimazione della politica, evocando addirittura i narcotest. In un paese con il 50 per cento di astensionismo, è compito di tutti promuovere la fiducia nei confronti delle istituzioni tutte, politica non meno che giustizia.

Non è possibile che il governo sia davvero convinto che i test servano?

Guardi, io sono convinto che anche chi ha promosso il decreto sa che è inutile e inattuabile. Lo tradisce un aspetto: si prevede che i test entrino in vigore nel 2026, nonostante il ministro Nordio abbia già detto che i test saranno sulla falsariga dello sperimentato test Minnesota . Ma allora se l’obiettivo è che i “matti” non entrino in magistratura, perché aspettare altri due anni e quindi l’assunzione di 1500 nuovi “matti”? La realtà è che nessuno crede che questa strada sia praticabile.

L’obiettivo, quindi, era solo quello di creare contrapposizione?

Nel merito del decreto, anche il viceministro Francesco Paolo Sisto ha dichiarato di non essere convinto che questi test siano decisivi. Non vedo allora altri obiettivi se non quello di aprire nuove polemiche con la magistratura. Eppure il ministero avrebbe molto altro da fare, penso per esempio alla messa in funzione del processo penale telematico che continua ad avere enormi problemi operativi.

Il ministro ha detto che non c’è alcuna ingerenza dell’esecutivo, perché i test saranno gestiti dal Csm. La rassicura?

Il problema non è chi gestisce lo strumento, ma che lo strumento è insensato. E lo è sia che lo gestisca il Csm, sia che lo faccia il ministero. Inoltre, voglio vedere quale commissario si sentirebbe di escludere un candidato sulla base di un test psicoattitudinale che non dà risposte oggettive, dopo che ha superato una selezione così dura come quella delle prove scritte e orali della magistratura.

Questione parallela è quella delle valutazioni dei magistrati, le cosiddette “pagelle”. La magistratura associata le ha criticate, lei cosa ne pensa?

Io sono da sempre favorevole, ma solo se queste “pagelle” servono a migliorare le valutazioni in corso di carriera sulla qualità complessiva dell’esercizio della funzione. Ma quando sento dire dall’onorevole Enrico Costa che dentro il fascicolo non vanno presi solo procedimenti a campione ma tutti, mi viene da sorridere perché è fuori dalla realtà. Se noi mettessimo quattro anni di procedimenti in un file, il risultato è che nessuno riuscirebbe a controllarli tutti. Inoltre, penso che i numeri delle revisioni delle sentenze non possano essere un criterio: il sistema delle impugnazioni, infatti, si fonda sul presupposto della possibilità che ci siano errori, dato che accertare la verità giudiziaria è un processo molto difficile. Molto più rilevante, invece, sarebbe valutare altri aspetti della professionalità dei magistrati: la loro capacità nel relazionarsi con le parti e gli avvocati, ma anche il loro narcisismo, per esempio.

© Riproduzione riservata