Tre erano i soggetti istituzionali a cui il procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone, e il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo hanno chiesto audizione, mentre è in corso l’inchiesta sulle fughe di notizie dalla direzione nazionale antimafia: commissione parlamentare Antimafia, Copasir e comitato di presidenza del Consiglio superiore della magistratura.

Le prime due hanno già ascoltato i due magistrati, la prima pubblicamente e il secondo in un incontro secretato come sempre è per la Commissione parlamentare per la sicurezza. La terza audizione al Csm, invece, non è più prevista: disdetta su richiesta dei diretti interessati che l’avevano chiesta, spiegano fonti del consiglio.

Sulle cause del passo indietro di Cantone e Melillo non ci sono ragioni ufficiali e si può ragionare solo per ipotesi. Anzitutto sulle ragioni per cui le toghe ritenevano fosse importante conferire con l’ufficio di presidenza, composto dal vicepresidente, il laico in quota centrodestra Fabio Pinelli, e i due membri di diritto, la prima presidente della Cassazione Margherita Cassano e il procuratore generale presso la Cassazione, Luigi Salvato.

A rigore di procedura, infatti, l’organo di governo autonomo della magistratura non ha alcuna voce in capitolo nè interesse investito su un’indagine in corso come è quella di Perugia. Il Csm ha però una funzione in casi di inchieste che hanno destato clamore: può intervenire a tutela di magistrati nel caso in cui abbiano subito «comportamenti lesivi del prestigio e dell'indipendente esercizio della giurisdizione tali da determinare un turbamento al regolare svolgimento o alla credibilità della funzione giudiziaria», si legge nel regolamento interno. Si tratta della cosiddetta “pratica a tutela”, la cui richiesta viene trasmessa dal comitato di presidenza alla Prima commissione, che procede alla verifica dei presupposti per l’avvio della procedura, anche ascoltando i magistrati interessati. L’apertura di questa pratica, dunque, serve a tutelare il magistrato che si senta leso o inibito nello svolgimento delle sue funzioni da parte della politica, ma anche dei media o nel caso di atti intimidatori da parte di altri soggetti.

L’ipotesi più probabile appare quindi che Melillo e Cantone si siano sentiti in qualche modo attaccati e dunque intendessero chiedere la copertura del Csm. Ovviamente, però, le posizioni dei due sarebbero comunque state differenti: Melillo è il capo della procura antimafia, che è l’istituzione dentro la quale è avvenuta la presunta fuga di notizie; Cantone invece è il procuratore capo e dunque funzionalmente responsabile dell’inchiesta in corso con l’ipotesi di accesso abusivo a sistema informatico e che vede attualmente indagate 14 persone, tra cui tre giornalisti del nostro quotidiano.

Ora, a distanza di quasi due settimane dall’audizione in Antimafia e Copasir, i due magistrati hanno ritenuto di cancellare dall’agenda il passaggio anche all’ufficio di presidenza del Csm. Se la richiesta fosse arrivata, non sarebbe stata la prima per Cantone. Nel marzo 2021, infatti, il procuratore capo di Perugia aveva chiesto al Csm di aprire a tutela sua e dei pm del suo ufficio una pratica, dopo gli attacchi mediatici per la loro gestione del caso Palamara. In quel caso, la procura era stata oggetto di critiche sulla stampa per come erano state utilizzate le chat del magistrato e per i dubbi sulle accensioni e spegnimenti del trojan inoculato nel suo cellulare.

I vertici della Gdf

Intanto, proseguono le audizioni in commissione Antimafia e ieri sono stati ascoltati i vertici della Guardia di finanza, corpo a cui appartiene uno degli indagati – Pasquale Striano – principale accusato di accesso abusivo al database riservato della procura nazionale antimafia. Il comandante generale della Guardia di finanza, Andrea De Gennaro, ha detto che il corpo è «parte lesa» e spiegato che «le sos (segnalazioni di operazioni sospette di tipo bancario ndr) sono strumenti indispensabili per lotta alle mafie e alla criminalità economica» e «le banche dati sono imprescindibile fonte di informazioni per lo svolgimento delle attività operative». Poi ha detto che sarà necessario «riflettere sull’esigenza di rafforzare la sicurezza informatica» ma – in risposta a una domanda sull’esistenza di un presunto dossieraggio – di non avere «elementi per poter ipotizzare una rete».

Infine ha chiarito che «Il tenente Striano non ha più accesso alle banche dati dal novembre 2022. Pur essendoci indizi importanti anche per noi è innocente fino a quando non avrà avuto un rinvio a giudizio o meglio una condanna». La lista dei prossimi auditi in commissione è ancora lunga, intanto l’indagine di Perugia non è ancora stata formalmente chiusa.

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