Ci riflettiamo da un paio di secoli, probabilmente da sempre, ma nessuno l’ha messa giù come Oscar Wilde quando ha detto che la vita imita l'arte più di quanto l'arte non imiti la vita. Suona un po’ come la storia dell’uovo e la gallina: difficile a dirsi.

Senz’altro è vero che la realtà è qualcosa che ci sta stretta, ed è per questo che inventiamo mondi altri, storie fantastiche, religioni, romanzi, realtà virtuali.

Torna in mente l’ultimo Sorrentino e il suo concetto di “realtà scadente”, nel finale pazzesco di È stata la mano di Dio, che è al tempo stesso una dichiarazione di poetica e un corso di scrittura. Un concetto su cui il regista ragiona da tempo al punto da dichiarare che, prima di scrivere una sceneggiatura, può essere utile rileggere il libro del Guinness dei primati. Come a dire che bisogna avere ben presenti le cose impossibili che diventano possibili.

Dalle arti al calcio il passo è breve e sempre più spesso, negli ultimi anni, ci si domanda: il calcio imita i videogame più di quanto i videogame non imitino il calcio? L’ultimo spunto per analizzare questo fenomeno arriva dalla sosta per le nazionali, in particolare dalle partite di Austria e Germania contro Slovacchia e Francia, sbloccate dopo una manciata di secondi grazie a due reti che probabilmente non sono solo frutto del caso.

Che cosa è successo sabato 23 marzo

In Slovacchia-Austria la firma è di Christoph Baumgartner, ventiquattrenne centrocampista del Lipsia che ha spezzato l’inerzia della partita prima ancora che un’inerzia si potesse determinare, ovvero dopo appena 6 secondi: calcio d’inizio e via, una progressione palla al piede tra le maglie blu degli avversari che quasi non oppongono resistenza, spiazzate da un atto di spregiudicatezza, coraggio e follia. Arrivato ai venti metri Baumgartner lascia partire un destro a incrociare semplicemente imprendibile. È il gol più veloce nella storia delle partite internazionali e sì, finirà nel Guinnes dei primati.

Poche ore più tardi Florian Wirtz, vent’anni appena, centrocampista in forze al Bayer Leverkusen, porta in vantaggio la Germania nell’amichevole di lusso contro la Francia, andando in gol dopo 7 secondi. In questo caso è diversa la costruzione dell’azione, che non si configura come iniziativa personale ma sembra essere frutto di uno schema: calcio d’inizio, palla a Toni Kroos, quattro giocatori tedeschi scattano in avanti a tutta forza.

Le corsie laterali rimangono ben presidiate dal naturale schieramento degli uomini in campo ma la mediana francese si alza in pressing liberando praterie: compare una voragine tra difesa e centrocampo. È lì che Kroos recapita il pallone ed è da lì che Wirtz scaglia una sassata insaccando il pallone sotto la traversa.

Qualcosa di molto simile succedeva nel 2018 in FIFA, il re dei videogiochi sul calcio che ha da poco superato i trent’anni d’età. Gli addetti ai lavori lo chiamano glitch, una sorta di errore del sistema che nel caso specifico consentiva di andare in gol grazie a una tipologia di azione molto elementare, proprio sugli sviluppi da calcio d’inizio: due passaggi laterali a centrocampo, uno in profondità per l’ala sinistra, cross in mezzo e gol di testa. Il bug impediva di fatto all’avversario di difendersi da questa combinazione.

Ma oggi il punto è: quanto l’estetica da videogame è stata ed è capace di influenzare il calcio? Probabilmente più di quanto immaginiamo, grazie soprattutto alla massiccia diffusione degli esports, letteralmente gli sport elettronici. Secondo l’Italian Interactive & Digital Entertainment Association, gli «esports sono leghe, circuiti competitivi, tornei o competizioni simili, che prevedono tipicamente un pubblico di spettatori, in cui giocatori singoli o squadre giocano a videogiochi, sia di persona che online, allo scopo di ottenere premi o per puro intrattenimento».

L’emulazione

Insomma il discorso è radicalmente cambiato rispetto ai tempi in cui quattro ragazzini si ritrovavano in cameretta davanti a una consolle, rubando tempo ai compiti o agli amori. Entra ora in ballo un concetto di competizione che rasenta il professionismo e soprattutto la presenza di un pubblico, fatto di giovanissimi, che finisce per determinare sul virtuale il proprio immaginario legato al mondo del calcio.

Per chi guarda si prospetta il rischio concreto di incappare in feroci delusioni nel confronto con il calcio vero, che nelle sue espressioni meno nobili rischierà di assomigliare a una “realtà scadente”. E questo può essere uno dei motivi che sta allontanando i ragazzi dagli stadi e preoccupando i club per un mancato ricambio generazionale.

Inoltre l’emulazione è una delle prime e più potenti forme di apprendimento e molti calciatori, sin da bambini, sono anche degli incalliti videogiocatori. Insomma ci troviamo di fronte a una generazione di professionisti, e di spettatori, appassionata a un mondo parallelo, a un gioco in buona parte virtuale.

Una generazione figlia ovviamente di quella precedente, considerato che la PlayStation fa parte dei ritiri delle squadre di calcio da una buona ventina d’anni: celebri le sfide Nesta-Pirlo prima della finale mondiale in Germania, nel 2006. «Una volta – ha raccontato su Instagram l’attuale tecnico della Sampdoria – a Sandro era crollato il dito. Avevamo giocato tutta la sera, eravamo a Palermo con la nazionale, siamo andati a cena e gli è caduto il piatto dalle mani». E a quanto pare non andava meglio con la maglia del Milan: «A Milanello mangiavamo di corsa per andare in camera a farci una partita, prima dell’allenamento».

La Playstation e la letteratura

Già Arsène Wenger sosteneva, con ammirazione e stima, che Messi fosse «un giocatore da PlayStation. È in grado di punirti per ogni errore e di fare la differenza in qualsiasi momento». Era il 2011, il Barcellona di Messi eliminava l’Arsenal di Wenger dalla Champions League, in semifinale. Essere un giocatore da PlayStation era sinonimo di ingiocabilità.

Difficile stabilire se i ritmi sempre più alti del calcio contemporaneo derivino in parte dalla modalità “arcade” di certi videogiochi. Del resto l’uomo insegue da sempre il mito della velocità, nella tecnologia come nello sport, nella comunicazione come nella sveltezza del pensiero. Viene in mente De Gregori quando canta che «il futuro è una palla di cannone accesa e noi lo stiamo quasi raggiungendo».

Resta solo da capire quanto spazio ci sarà per la fantasia, in un futuro con tutto questo ritmo, fatto di atleti strutturati, muscolari e velocissimi; e per un certo tipo di narrazione: quanta letteratura rimane in una partita di pallone a cento all’ora? Cosa resta oltre al ritmo serrato e sensazionale di una telecronaca? Avremo mai più un “calcio rigore più lungo del mondo” o dovremo accontentarci del gol più veloce della storia?

Senza per forza dare una valutazione di merito possiamo soltanto prendere atto di una serie di differenze: da un lato la perfezione e dall’altro l’imperfezione, da un lato la velocità e dall’altro i ritmi alternati, da un lato la playstation e dall’altro la letteratura, da un lato Messi e dall’altro Maradona.

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