Caro Aldo Grasso, è bello che finalmente si torni a parlare del caso Assange ma conviene farlo su dati condivisi e non sulla base di supposizioni. Non è vero quello che tu scrivi sul Corriere della Sera, cioè che “il metodo Wikileaks consisteva nel riversare masse di documenti segreti o riservati online , senza vaglio e senza contesto.”

Come abbiamo raccontato a Presadiretta prima di pubblicarli, i file sono stati analizzati, contestualizzati, verificati ed emendati degli elementi che avrebbero potuto mettere a rischio la vita dei collaboratori dell’esercito degli Stati Uniti.  

La pubblicazione degli Afghan war logs e degli Iraqi war logs è stata preceduta da mesi di lavoro: «Noi siamo stati contattati da Wikileaks nella primavera del 2010 e due nostri reporter hanno incontrato Assange – ci ha detto Holger Stark, l’ex caporedattore di Der Spiegel che ha lavorato in quel 2010 sulle rivelazioni di Wikileaks –  Ci siamo subito resi conto che era tutto materiale che andava elaborato prima di diventare un lavoro giornalistico. Così abbiamo incrociato le nostre competenze con quelle dei colleghi del Guardian, del New York Times e dei giornalisti di Wikileaks».

Quando a ottobre 2010 sono usciti gli articoli sul Guardian, sul New York Times, sullo Spiegel, su El Paìs, L’Espresso e La Repubblica, il dipartimento di Giustizia americano non ha denunciato i giornalisti che, di tutto il materiale fornito da Chelsea Manning a Wikileaks, avevano rivelato solo quanto di interesse pubblico: l’andamento sul terreno  delle guerre in Iraq e Afghanistan, i costi enormi in termini di vittime civili, le violazioni dei diritti umani in nome della “guerra al terrore.

Le voci contrarie

Non è vero poi, caro Aldo Grasso, che «il servizio di Riccardo Iacona non aveva una sole voce contraria» Nella puntata c’era una lunga intervista a Mary McCord, già viceprocuratrice generale  del dipartimento di Giustizia americano fino al 2017, convinta sostenitrice del processo al fondatore di Wikileaks. 

Anche Mary McCord riconosce però che nei capi di imputazione non c’è riferimento al contenuto editoriale del lavoro di Wikileaks: “Assange viene accusato di aver cospirato con Chelsea Manning  perché gli fornisse illegalmente  del materiale classificato della difesa”.

Nessuno mette in dubbio la “notiziabilità” del materiale rivelato da Wikileaks, neanche quelli che lo vogliono in galera  per 175 anni.

Infine, caro Aldo Grasso, tu fai riferimento alla vicenda delle mail del Partito democratico rivelate da Wikileaks nel 2016, materiale riservato che sarebbe stato hackerato dai  russi e consegnato ad Assange e la cui pubblicazione  avrebbe aiutato Trump a vincere. Sul Russiagate c’è stata l’indagine del procuratore speciale Robert Mueller che ha portato all’incriminazione di 12 agenti russi dell’intelligence Gru e ollaboratori di Trump, come Paul Manafort.

L’offerta di Trump

Assange ha sempre dichiarato di non aver mai ricevuto le mail dai russi e l’indagine di Mueller non ha prodotto accuse contro  Wikileaks e Assange, dunque non fa parte dei capi di imputazione per i quali gli Stati Uniti vogliono processare il fondatore di Wikileaks.

Invece nell’ agosto del 2017 all’ambasciata dell’Ecuador si sarebbe presentato Dana Rohrabacher, al tempo deputato Repubblicano,  come ci ha rivelato Jennifer Robinson, avvocato di Assange : “Ho testimoniato a processo che ci fu un incontro tra Dana Rohrabacher e Assange al quale ero presente: se Julian avesse rivelato la fonte delle pubblicazioni del Comitato Nazionale Democratico, gli sarebbe stata concessa la grazia. Ma WikiLeaks protegge le proprie fonti.”

Le parole di Robinson sono confermate anche dai rapporti dell’agenzia UC Global che spiava Assange per conto dell’intelligence americana.

Se Assange fosse stato soltanto un hacker senza scrupoli , al servizio dei russi,  avrebbe potuto salvarsi trattando sotto banco con un emissario di Trump. Ma non l’ha fatto. E si trova in un carcere di massima sicurezza inglese da quasi 3 anni.

Caro Aldo Grasso, dopo mesi di ricerche, in cui abbiamo intervistato i protagonisti e letto migliaia di documenti delle indagini, mi sono convinto che il caso Assange ci riguarda molto da vicino: se estradato, verrà processato usando una legge contro lo spionaggio del 1917 mai invocata contro giornalisti ed editori, un precedente grave che metterebbe a rischio la libertà di stampa nel mondo.

Per questo in tanti, dall’Onu ad Amnesty International a Reporter sans Frontières, chiedono al presidente Joe Biden di rinunciare al processo contro Assange.  

Spero che i media italiani seguiranno con attenzione il processo di appello a Londra sull’estradizione di Assange: il silenzio che per anni è caduto su questa vicenda non è un punto di onore del nostro giornalismo .  

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