Ha ragione Giorgia Serughetti. Adesso è più difficile che qualcuno coltivi l’ennesimo cambio al vertice del Pd. Per una ragione semplice. A un anno preciso dal suo imporsi alle primarie, Elly Schlein guida un partito rinvigorito dalle urne sarde, scortato da sondaggi confortanti e proiettato, se non proverà a sgambettarsi da solo, a farsi perno dell’alternativa alla destra.

Non era scontato. Dopo la sconfitta di due anni fa il congresso della forza principale del centrosinistra poteva piegare in una messa cantata dove replicare i medesimi vizi all’origine di troppi ritardi e smacchi elettorali. Così non è stato e lo si deve considerare un bene.

Quella discussione ha avuto il merito di porre con franchezza nodi sotterrati a lungo nell’illusione che di rinvio in rinvio i sei milioni di voti persi dal battesimo del Lingotto (copyright, Walter Veltroni) allo sbarco di Giorgia Meloni a palazzo Chigi potevano finire archiviati come una disgrazia del passato.

Quattro traguardi

In quel confronto, con altre e altri avevamo indicato quattro traguardi da far decollare nella strategia convincente di una ripartenza.

Erano l’ansia perenne per uno scenario di pace e dialogo tra nazioni, popoli, religioni. Un primato dei diritti umani a partire da quelli delle donne come l’utopia universalistica rimasta dopo il tramonto di ideologie ancorate a contesti conclusi. La costruzione di “comitati popolari per l’alternativa” sul modello dell’Ulivo di Romano Prodi, l’idea di far crescere dal basso la spinta a ricondurre l’Italia nell’alveo delle democrazie più mature.

Il quarto traguardo si proiettava sulla riforma radicale di un partito che non può rinchiudersi nel perimetro delle istituzioni pena il venir meno di troppi di quegli affluenti – movimenti, istanze sociali, il civismo migliore – capaci di innaffiare una pianta destinata a essiccare se alimentata dal solo ceto degli eletti, siano essi sindaci, governatori, parlamentari o, domani, nuovamente ministri.

Penso che l’avere inserito questi snodi nel dibattito su cosa fare dopo lo scorno delle ultime elezioni politiche abbia almeno contribuito a evitare un eccesso di continuismo. A quel punto una segretaria giovane e senza zavorre addosso ha operato la svolta attesa e di questo le va dato largo merito.

Ha scelto la strada dell’unità fino a dove appariva razionalmente possibile, sopportando pure qualche furbizia o sgambetto. Si è fatta carico della giusta dose di pluralismo in una comunità, la sua, avvezza per indole a scavare trincee anche quando non se ne sente il bisogno.

Da ultimo, supportando la candidatura autorevole di Alessandra Todde, espressione del competitor diretto, dando prova in un colpo solo di coerenza e generosità.

Il terreno è stato arato

Possiamo dire che il terreno è stato arato e una semina pare matura. Non saranno percorsi in discesa, la destra per quanto scossa e nervosissima cercherà di sollevarsi.

Ma, appunto per questo, quella chiave dei comitati per l’alternativa potrebbe rivelarsi decisiva. Ora. Insomma, presto. Perché il segnale della Sardegna, non solo lo spoglio vincente del lunedì, ma i cento e più giorni di una campagna elettorale vissuta paese per paese questo hanno detto.

Che un pezzo del popolo lì fuori attende un fischio, una chiamata al confronto e all’azione. Non è disposto, almeno quando quel mondo lo incroci, a nuove cambiali senza merito e scadenza.

Chiedono di avere voce e sentirsi parte di una scommessa comune. Ci sono sconfitte che lasciano il segno e inducono a cambi di passo. Più spesso accade che i successi, soprattutto se imprevisti, tendano a conservare l’esistente nella convinzione che il punto acquisito possa sortirne di nuovi.

Apertura e coraggio, però, suggeriscono che anche nelle vittorie rientri sempre una quota di novità da coltivare e questo è il caso. Il segreto? Farsi carico della domanda che dalla Sardegna si è levata forte e suona pressappoco così: che lo si chiami largo, giusto o in qualunque altro modo il segreto di quel “campo” è uno: riempirlo di donne e uomini stanchi e pronti a scendere da tribune e curve per prendere ruolo nella partita. Quando è accaduto abbiamo vinto. Come monito e rassicurazione dovrebbe bastare.

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