Il 23 maggio è una data importante per il mondo della scuola, ma quest’anno il ministero dell’istruzione ha sacrificato la naturale vocazione educativa di questa giornata per far prevalere la spasmodica ricerca del merito. E infatti, nello stesso pomeriggio in cui si rinnova la memoria della strage di Capaci in cui furono massacrati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta, è prevista la prova pre-selettiva per immettere in servizio 587 nuovi dirigenti scolastici.

Dal punto di vista simbolico un messaggio devastante, poiché negli anni passati lo stesso ministero (che non aveva ancora il merito tra i suoi fregi) organizzava la più grande mobilitazione istituzionale del mondo della scuola: migliaia di studentesse e studenti giungevano a Palermo con le “navi della legalità”, con treni e pullman per rinnovare l’impegno antimafia della scuola italiana davanti all’albero di Giovanni Falcone.

Quest’anno invece oltre 35mila insegnanti saranno sottoposti a una sorta di quiz a risposta multipla, attraverso il quale si farà una prima scrematura per selezionare i fortunati che potranno accedere alla prova scritta del concorso.

Le competenze richieste sono molteplici e, con poche mosse, questi docenti si dovranno trasformare in super-eroi in grado di padroneggiare svariati ambiti disciplinari che, nella maggior parte dei casi, poco o niente hanno a che fare con la missione educativa della scuola.

Si va dalla normativa scolastica alla predisposizione degli strumenti di programmazione; dall’organizzazione del lavoro, alla gestione e valutazione del personale; dalla contabilità dello Stato agli elementi di diritto civile ed amministrativo; dal diritto penale alla gestione finanziaria.

Le competenze richieste in questo concorso consacrano la definitiva trasformazione del ruolo del preside, che deve dimostrare le sue doti manageriali, deve sapere tutto sulla modalità di gestione delle organizzazioni complesse ma quasi niente di scienze dell’educazione.

Un passaggio decisivo che rappresenta una chiara scelta politica, tesa a snaturare la funzione di direzione scolastica consegnandola all’ideologia della governance, dimenticando che essere insegnanti è l’unico pre-requisito necessario per diventare dirigenti scolastici.

È una tendenza che va avanti da un ventennio ma stavolta il salto di qualità è evidente, visto che i nuovi dirigenti scolastici non dovranno dimostrare, così come richiesto in passato, competenze di natura «socio-pedagogica, con particolare riferimento ai processi di apprendimento, alla valutazione dell’apprendimento e dell’istituzione scolastica, alla motivazione, alle difficoltà di apprendimento, all’uso dei nuovi linguaggi multimediali nell’insegnamento» né il «particolare riguardo alla integrazione interculturale».

Sono passati poco più di dieci anni da quando veniva richiesto ai nuovi dirigenti scolastici di dimostrare conoscenza e competenza di pedagogia, storia della pedagogia e della scuola, didattica, psicologia, gestione della classe, motivazione scolastica, sociologia dei processi migratori, normativa sugli alunni di nazionalità non italiana…

Di tutto ciò oggi non vi è traccia nel bando, evidentemente i proclami sulle classi differenziali e la cancellazione della diversità dai banchi scolastici trovano applicazione anche sugli atti formali del ministero.

Questo nuovo concorso per dirigenti scolastici evidentemente ha tra gli obiettivi il “salto di specie” del preside e conseguentemente la trasformazione definitiva della scuola pubblica della Repubblica che, potrebbe, nel giro di pochi mesi, essere sacrificata sull’altare dell’autonomia differenziata e del dimensionamento scolastico che vedrà i primi effetti a partire dal prossimo anno scolastico.

È evidente che siamo davanti alla vigilia dello snaturamento della funzione educativa della scuola italiana, che rischia di essere sottoposta ad una frammentazione regionalistica e al completamento del processo di aziendalizzazione, che trova una buona sponda nella sbornia da Pnrr.

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