La debolezza della politica italiana non ha paralleli in nessun altro paese avanzato. I nostri partiti sono stati incapaci di eleggere un nuovo presidente della Repubblica, coabitano malvolentieri in un governo di unità nazionale guidato da un «tecnico». In tutti gli altri paesi dell’occidente al governo ci sono i politici, espressione diretta dei partiti, al più con qualche limitato innesto tecnico (da noi è il contrario). Ma questa debolezza è un bene o un male per l’Italia? Certo poter disporre di una guida super partes di altissimo profilo è una risorsa. Ma dovrebbe trattarsi di una risorsa d’emergenza: una soluzione temporanea per circostanze eccezionali.

Non può certo diventare la norma. Il rischio altrimenti è l’inaridirsi della democrazia, a favore della tecnocrazia. O detto altrimenti, che si instauri una spirale perversa fra debolezza dei partiti e disaffezione dei cittadini verso i politici, che di solito ha per rovescio la crescita del consenso a formazioni antisistema e a leader populisti; i quali poi, quando vanno al governo, spesso non fanno che peggiorare ulteriormente i problemi, avvitando ancora di più la spirale.

Ed è un pericolo che abbiamo già visto concretizzarsi, soprattutto dopo il governo Monti, con l’ascesa dei Cinque stelle e di Salvini, per certi versi anche di Renzi. E che potremmo rivivere in futuro: il pericolo insomma di un’Italia stretta fra tecnocrazia e demagogia. Per evitarlo, i partiti dovrebbero impegnarsi a utilizzare quel che resta di questa stagione di unità nazionale (anche) per riformare sé stessi, e le regole della politica.

Dandosi un obiettivo, nel medio periodo: riuscire a formare una classe dirigente radicata e di qualità, capace cioè di candidarsi ad affrontare le grandi sfide del nostro tempo. È il senso della democrazia, in fondo. La riforma delle regole di finanziamento della politica, l’introduzione di norme per garantire democrazia e trasparenza nella vita interna dei partiti, una legge elettorale proporzionale, sul modello tedesco, dovrebbero servire proprio a questo.

Sono tre linee di intervento che vanno considerate nel loro insieme. Dietro, c’è un’idea della società, che poi è la stessa che ritroviamo nella maggior parte dei paesi dell’Ue, a cominciare dalla Germania: una società inclusiva, fondata sulla partecipazione attiva alla politica, dove si confrontano anche visioni e valori; dove le forze politiche hanno un profilo chiaro e da lì elaborano proposte, cercando di fare emergere la migliore classe dirigente.

Sono le alleanze che discendono da questa impostazione, non il contrario. Le regole della politica non sono questioni astratte e separate dalla vita concreta. Sono la precondizione per tutto il resto: cioè per avere una politica migliore, in grado di misurarsi con i complessi problemi del nostro tempo.

 

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