Provare molto per gli altri e poco per noi stessi, trattenere il nostro egoismo e lasciarci andare alle affezioni benevole costituisce la perfezione della natura umana Come la grande legge del Cristianesimo è amare il prossimo come noi stessi, così il grande precetto della natura umana è amare noi stessi non più di quanto amiamo il prossimo». Si potrebbe fare fatica a riconoscere qui la penna di Adam Smith, considerato di solito il principale difensore dell’homo oeconomicus.

Dopo il crollo del comunismo è apparso evidente che la pianificazione non si è mostrata in grado di realizzare l’uguaglianza e di allocare adeguatamente le risorse. L’economia di mercato è così stata adottata anche in regimi autocratici che, ostili verso i diritti civili, si sono aperti alla libertà declinandola esclusivamente nella sua dimensione mercantile.

In occidente, per altro verso, tramontato il compromesso socialdemocratico che è stato garante del Welfare dal 1945 agli anni Settanta, si fa spesso ricorso alla “mano invisibile” di Smith per giustificare acriticamente le presunte virtù di autoregolazione del mercato. Ci si è così accostati a Smith assolutizzando solo un aspetto del suo pensiero, con il rischio di sradicarlo dall’ambito della filosofia morale in cui ha preso forma.

In realtà nella Ricchezza delle nazioni (1776) la “mano invisibile” appare una sola volta e indica le conseguenze non intenzionali di determinate scelte che, pur legate all’utile individuale, si rivelano benefiche per l’intera comunità. La metafora era già stata utilizzata nella Teoria dei sentimenti morali (1759) per descrivere come i beni di lusso possono incrementare l’occupaz0ione delle maestranze coinvolte nella loro produzione.

Smith scriveva nella Ricchezza delle nazioni che nessuna società può essere felice se la maggior parte dei suoi membri vive in povertà, ritenendo giusto che i lavoratori avessero diritto a una quota del prodotto delle loro fatiche per vivere decorosamente. Attribuiva inoltre un ruolo fondamentale all’istruzione, che lo stato avrebbe dovuto garantire ai meno abbienti.

Economia strumentale

Amartya Sen, commentando un saggio degli anni Trenta in cui Lionel Robbins sosteneva l’inconciliabilità di etica ed economia, evidenzia come questa posizione, del tutto fuori moda in quel tempo, sia oggi largamente diffusa. L’insegnamento dell’economia si collocava infatti, negli anni in cui Robbins scriveva il suo saggio, all’interno dei corsi di “Scienza morale”, una consuetudine radicata nell’antico legame di quegli studi con l’etica. Lo stesso Smith era titolare della cattedra di filosofia morale all’Università di Glasgow. Questo nesso rinvia all’Etica nicomachea, in cui Aristotele sostiene che all’economia è affidato il compito di fornire gli strumenti per acquisire le risorse necessarie alla polis. L’economia assume così un ruolo strumentale rispetto alle finalità che devono essere indicate dall’etica e dalla politica.

Entro tale prospettiva, condivisa da Sen, questi ambiti non sono dunque separabili.

Eugenio Lecaldano ha sottolineato che i docenti di filosofia morale, come Francis Hutcheson, a cui Smith succedette nella cattedra, avevano anche il compito di discutere, durante i loro corsi, sul significato etico del sermone domenicale con i pastori della chiesa scozzese. La morale cristiana si coniuga sempre nell’opera di Smith con il pensiero della classicità.

Simpatia universale

Nella Teoria dei sentimenti morali, riprendendo Aristotele, scrive che se la prosperità di due esseri è da preferire a quella di uno solo, la prosperità di molti deve porsi come un traguardo più elevato. Citando Epitteto, aggiunge poi che il saggio non si considera mai come un atomo isolato, ma come parte di un tutto e che la natura ci invita a cercare il benessere non solo per la nostra famiglia e i nostri amici, ma per il nostro paese e per l’umanità intera. Ciò che a suo avviso rende virtuosa un’azione è la benevolenza, che viene a mancare quando si tende esclusivamente alla felicità del singolo o del suo gruppo ristretto. L’amor di sé è per lui un principio «che quando ostacola il bene generale diventa vizioso».

Diversamente da tanti fondamentalisti del mercato dei nostri giorni, Smith sapeva bene che la ricerca dell’utile esprime solo un aspetto della libertà umana, che non può realizzarsi pienamente al di fuori della moralità. Su questo terreno opera la “mano invisibile”, intesa come la simpatia universale che armonizza le relazioni sociali accogliendo in sé l’eredità dell’etica antica, il messaggio morale evangelico e la ragionevolezza dell’Illuminismo scozzese.
 

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