Struggente l’attesa di sapere se le due donne più importanti nella politica italiana inganneranno l’elettorato e si candideranno ad una carica, europarlamentare, che, incompatibile, con le loro cariche di governo e di rappresentanza in Italia, non hanno nessuna intenzione di accettare.

Appassionante il dibattito su quale sarebbe il loro personale valore aggiunto per i rispettivi partiti che entrambe spiegheranno con dovizia di particolari, lo sappiamo tutti, quando l’ennesima conduttrice di talk televisivo formulerà l’audace domanda: «Perché mai la sua candidatura/elezione dovrebbe servire a promuovere le politiche europee che stanno (ci sono, vero?) nel programma del suo partito dato che lei non entrerà in quel Parlamento europeo?».

No, questa non è «la politica, bellezza». Nient’affatto. Di presa in giro, si tratta, di meschini calcoli di bottega che sviliscono la campagna elettorale e il senso italiano di stare nell’Unione europea.

La posta in gioco

Da molti punti di vista le elezioni europee del 9 giugno si stanno caratterizzando come elezioni cruciali. Non esiste nessun rischio di dissoluzione, ma non è difficile cogliere qualche concreto pericolo di stagnazione e retrocessione. Alcune domande “sorgono spontanee”. Possono essere formulate seguendo propositi e prospettive che hanno già circolato qualche tempo fa.

Primo, allargare l’Unione ai non pochi paesi, sullo sfondo anche l’Ucraina, che hanno già fatto domanda di adesione e le cui credenziali hanno loro consentito l’accesso ai negoziati? Oppure, dilazionare, posticipare, mantenere lo status quo?

Secondo, approfondire l’Unione con formule di vario tipo, soprattutto per pervenire ad una gestione più estesa e più ampiamente condivisa delle politiche economiche e fiscali e a costruire una autonoma politica di difesa? Oppure limitarsi a quello che c’è e che per alcuni governi sovranisti è già fin troppo?

Accelerare l’integrazione in tutti i campi, sperimentando politiche a velocità diverse che spingerebbero a emulazioni virtuose anche attraverso il completo superamento delle votazioni all’ unanimità? Oppure rallentare fino a fermarsi a quello che c’è, l’acquis communautaire, che non pochi sovranisti desiderano contenere, limare, ridurre?

Candidature inadeguate

I Popolari europei hanno già acconsentito, seppure con dissensi numericamente non trascurabili, all’ambizione della loro Ursula von der Leyen di essere riconfermata presidente della Commissione, scegliendola come candidata di punta, su cui puntare.

Prontamente, Giorgia Meloni, chi sa se anche nella sua qualità di presidente del gruppo Conservatori e riformisti europei, è scesa in campo, dichiarando la sua disponibilità a votare von der Leyen per un secondo mandato. Poi, se mai i voti di Fratelli d’Italia e dei Conservatori e riformisti risultassero decisivi, ne seguirà logicamente e politicamente, senza scandalo, più di un condizionamento sulle politiche della Commissione, dove si troverà un rappresentante di FdI, e sulla stessa presidente.

Pure i socialisti e i democratici europei hanno già nominato il loro, non molto noto, candidato presidente. Cinque anni fa, von der Leyen non era la candidata di punta dei popolari. Sbucò dalla manica larga dell’allora molto potente Angela Merkel.

Poiché una situazione non dissimile, di insoddisfazione, inadeguatezza delle candidature ufficiali potrebbe ripresentarsi, la richiesta da avanzare ai dirigenti dei partiti e ai candidati consiste nell’esprimere le loro preferenze relativamente a allargare, approfondire, accelerare e a disegnare l’identikit della presidenza della Commissione maggiormente in grado di andare nella direzione scelta.

Con una frase ad effetto, questo ci chiede l’Europa e questo serve a chi desidera un’Europa più vicina ai cittadini europei (almeno e specialmente a quelli che votano).

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