Quando nel 1963 Hannah Arendt pubblico “La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme” furono in tanti a sentirsi a disagio. Lo scritto raccontava come l’efferato pianificatore della Shoah avesse scelto di nascondersi dietro la maschera del funzionario zelante per cercare l’assoluzione dai propri delitti.

Nel processo in cui era imputato, Eichmann invocava la rigorosa burocrazia con cui pianificava i convogli per Auschwitz, come se il suo banale operato di impiegato solerte andasse distinto dalla brutalità che lo aveva circondato. Una posizione che poneva una domanda inquietante al lettore: se il volto più turpe del male si mostrava attraverso la condotta “ordinaria” della gente comune, chi andava considerato realmente colpevole e chi innocente?

Riflessioni sul male

Il richiamo alla propria “mediocrità” non salvò il gerarca nazista dalla condanna, anzi apparve chiaro come persino i grigi passacarte hanno il dovere di fare una scelta.

A distanza di 60 anni, il saggio di Arendt ci pone ancora riflessioni scomode: forse l’epoca della “banalità del male” è terminata ed è stata sostituita da quella della sua “banalizzazione”. Un fenomeno scaturito questa volta dal processo opposto: la volontà di aggregare, equiparare e parificare le colpe degli altri.

Per esempio, tuonando di “responsabilità collettiva” e “male assoluto”, senza ammettere distinzioni. Una semplificazione azzardata, a partire dalla scelta dei vocaboli attraverso i quali raccontiamo la malvagità umana, creando similitudini, evocazioni e collegamenti tra le parole, anche laddove non ne esistono.

È così che il significato di termini quali pulizia etnica, genocidio, razzismo, autoritarismo, terrorismo… hanno finito per piegarsi alla vaghezza del senso comune, a dispetto del merito dei singoli contesti e di quelle definizioni giuridiche costruite con studio e accuratezza.

In questo modo, tutti i nostri nemici sono diventati nazisti, tutto il pensiero critico sulla democrazia il prodromo di una dittatura. I nostri avversari ci hanno a loro volta ripagati con la stessa moneta, perché la banalizzazione trascende schieramenti e ideologie, trasformando ogni forma di antagonismo nel magma indistinto di un male radicale. Un blocco unico, da distruggere in quanto malefico nella sua propria essenza.

Un approccio pericoloso che porta con sé criticità evidenti. In primo luogo, eliminare ogni differenziazione non ci permette di affrontare il male nella sua complessità.

Finanche le peggiori iniquità sono di natura intrinsecamente diversa, in quanto è diversa l’identità di chi le commette, modellata dalla storia e dall’ambiente dove le opera. E il male, come l’identità, non è solo molteplice, ma è anche pronto a evolvere in forme inedite e ad assumere significati radicalmente diversi.

Polarizzazione assoluta

L’incapacità di discernere i suoi tratti distinti comporta una ulteriore inevitabile rischio: banalizzando il male, finiamo per banalizzare anche il bene, opponendo all’incubo di Demoni mortali il nostro Pantheon di Santi senza peccati. Una polarizzazione assoluta, senza sfumature, che non contempla dubbi o esitazioni e che non concede deroghe né defezioni.

Tutto ciò che è utile appare buono e urgente; tutto ciò che minaccia le nostre convinzioni o i nostri interessi, esecrabile e da annientare all’istante. Una polarità che non permette di cogliere il groviglio del reale, fatto di gradazioni intermedie tra pace perpetua e guerra totale.

Di fronte a questa paralisi, diventa tanto importante quanto impellente restituire al nostro pensiero una qualche forma di corrispondenza tra noi e il male che percepiamo. Corrispondere, significa “dare una risposta adeguata” alla sfida che si presenta. Ma se l’unico riflesso è di imprimere il marchio di Caino su chiunque non ci è conforme, non sapremo mai se da quella risposta potrà nascere qualcosa di inaspettato.

Un impegno tutt’altro che banale. Ed è proprio nel nome del superamento di questa banalità che dovremmo tornare ad ascoltare le ragioni del Male. Non per trovarvi attenuanti, ma perché considerarle equamente è l'unico modo di comprendere cosa intendiamo davvero per il Bene.

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