Ci sono lezioni che possiamo trarre dal voto spagnolo? La prima riguarda il Partito democratico. Quando Pedro Sánchez, dopo la sconfitta alle amministrative, ha convocato le elezioni anticipate, quasi tutti lo davano per spacciato, specie in Italia (fra le poche eccezioni questo giornale).

In realtà la sconfitta era dovuta soprattutto alle divisioni interne e i socialisti spagnoli si erano mostrati (relativamente) in salute, grazie alle loro politiche di sinistra: dal salario minimo al reddito minimo vitale. La mossa di Sánchez era stata quindi un tentativo, coraggioso ma non disperato, di richiamare il suo campo all’unità e all’orgoglio, anziché lasciarsi logorare.

Certo, è stato favorito anche dalla legge elettorale, proporzionale. Ma a maggior ragione, nel centro-sinistra italiano occorrerebbe impegnarsi per far prevalere lo spirito, almeno lo spirito unitario, che a volte si fa fatica a rintracciare addirittura all’interno dello stesso partito, il Pd: lo testimonia lo stillicidio quotidiano di polemiche contro Elly Schlein, spesso basate su una sua caricatura (massimalismo, populismo e via dicendo). No. I grandi partiti progressisti, in Europa e nel mondo, non funzionano così.

La seconda lezione riguarda Fratelli d’Italia. Vox era il suo principale alleato in Europa occidentale e subisce una battuta d’arresto. Questo, indubbiamente, favorisce una evoluzione del partito di Giorgia Meloni verso una moderna destra nazional-conservatrice e magari l’adesione al Ppe. In sé è una buona notizia, ma non andrebbe esagerata e non andrebbe smarrito il dato di fondo. Vox ha perso anche perché aveva dei toni estremistici (con attacchi espliciti ai catalani e alle persone Lgbt) che hanno spaventato la Spagna plurale e che Fratelli d’Italia, in realtà, ha da tempo messo sottotraccia.

In questo senso, Meloni può avere dalla sconfitta di Vox una conferma della giustezza della sua impostazione, più rassicurante (ma più subdola). Non la strada di Vox, ma quella della destra polacca, che sta lentamente, ma inesorabilmente, erodendo le libertà civili e lo stato di diritto in quel paese, con la benevolenza peraltro della comunità internazionale che la considera un bastione anti Putin (ma che senso ha se poi diventiamo come lui?).

Questo è il rischio, il modello polacco, più pericoloso perché meno esplicito e che quindi viene accettato, forse inconsapevolmente, anche da una parte delle classi dirigenti «liberali». Su questa strada Meloni potrà adesso più facilmente condurre la parte più recalcitrante del suo partito. Da questo punto di vista i rischi per il sistema paese, per le nostre libertà e i nostri diritti, sono paradossalmente aumentati.

Questo si lega però alla terza lezione, che riguarda l’Europa. Sicuramente si allontana la prospettiva di una futura maggioranza di destra, dopo le europee. Aumentano le possibilità che rimanga in vita l’attuale “coalizione Ursula”. Il che non vuol dire che vada tutto bene, perché l’Unione ha bisogno di profonde riforme che questa coalizione non sembra in grado di promuovere. Ma è sicuramente una buona notizia rispetto alle prospettive di un suo disgregamento. È una buona notizia anche per l’Italia, perché un’Europa con in maggioranza i socialisti, i liberali e forse i Verdi potrà comunque agire da contrappeso a eventuali sbandamenti del governo Meloni. A condizione, naturalmente, che le classi dirigenti europee non si lascino ammaliare dai modi più gentili di Meloni e guardino invece alla sostanza delle politiche e delle idee.

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